SUL SENTIERO DI MATTINA     

per Filoteo Nicolini

SUL SENTIERO DI MATTINA

Sono in montagna. Esco a prima mattina, approfitto del fresco e poi devo fare spesa nel paese al ritorno. Sul solito sentiero incontro, come consuetudine ormai, un signore tarchiato e dal passo deciso, che procede in senso contrario, con il quale scambio da tempo un fugace saluto. Veste sempre la stessa uniforme, a me ricorda un ufficiale d’altri tempi con quel baffone alla Bismarck, simile a quanto raffigurato nella statua di Umberto I alla via Nazario Sauro a Napoli. Siamo entrambi timidi per fermarci e presentarci, e suppongo che la cosa rimarrà così chissà per quanto tempo. Proverò la prossima volta a salutarlo con più enfasi, a rallentare il passo, a rompere questa timidezza?

È una bella giornata, cielo terso, si sente lo scroscio del torrente a pochi passi, fiori dappertutto, di fronte c’è un recinto dove si alternano pecore e caprette. Mi soffermo per scambiare attraverso la rete una carezza sul muso e sentirle belare, grate per l’attenzione, forse sperando dal passante qualcosa che non riesco a immaginare. Ma no, è solo spontanea reazione ad un gesto amichevole. Tutto è divino, è sacro: le sorgenti, i boschi, le nuvole, i piccoli insetti e gli animali. Tutto è respiro, e la solidarietà con la vita non va trascurata. So che la strada che percorro è pronta per raccontarmi qualcosa, se presto attenzione. Il corso della vita non scorre infatti in modo semplice. Siamo abituati solo a decidere cosa fare e poi eseguirlo, o almeno tentare di farlo; al contrario, intervengono cose che appaiono avvenimenti irregolari casuali. Se pensassi distrattamente, il destino che mi tocca oggi è semplicemente fatto di una miriade di eventi che incontro di ora in ora, e inesorabile come una pioggia battente. Questo sentiero lo conosco, quella salita, il ponte da attraversare. Ma c’è molto tra le righe della vita che può passare inosservato. C’è un quotidiano che tiranneggia e spinge a decisioni pratiche, e c’è sotto traccia la nostra ricerca di senso.

Infatti, la mia attenzione ora è attratta da una figura che vedo-o meglio, intravedo data la mia incipiente cataratta- seduta su una panchina al bordo del cammino. Curvo su sé stesso, sembra si guardi i ginocchi. All’avvicinarmi, è un uomo non più giovane, mingherlino. Non riesco ancora a vederne il volto, né il colore dei capelli. Naturalmente, rifletto per immaginazione, visto che la visione ottica ancora non mi sostiene, e mi chiedo cosa lo affligga, perché è così piegato, quali crucci. Un’idea si fa largo tra le immagini, reclama attenzione, scaccia via supposizioni. Starà vedendo il telefonino, sarà catturato dallo schermo? Sì, è proprio così. Deve essere rassicurante quell’oggetto tra le mani, magari il signore osserva qualcosa di interessante. Solitudine? Inquietudine? Bisogno di informazione? Qual è il rapporto tra un essere umano e una entità artificiale? E qui non devo tessere opinioni, né emettere riprovazioni. Osservo solo i fatti. Io il cellulare l’ho lasciato a casa, lo lascio sempre a caricare e mi sento intanto più leggero, più disposto a una riflessione, ad accogliere una impressione. Ricordo ora una amica cilena sfuggita agli orrori della dittatura, dopo essere stata vittima di violenza di gruppo, che agli inizi degli anni Novanta aveva fabbricato con un pezzo di legno levigato un simulacro di telefono portatile e se ne compiaceva al mostrarlo, facendo anche finta di sostenere una conversazione inesistente. La sua voleva essere una burla della moda in arrivo su vasta scala. Cito questo ricordo, sbiadito dagli anni, perché la creatività è un potenziale inerente a noi umani e la realizzazione di tale potenzialità una necessità. I processi creativi non si restringono però alle arti intese come aree privilegiate. La creazione va intesa in un senso globale come l’agire umano integrato nel vivere. La creatività personale non è altro che la propria sensibilità acculturata. La cultura orienta la nostra sensibilità e quindi anche la nostra coscienza.

Ripetere sempre gli stessi gesti è certamente una economia per condurci nella vita, ma le abitudini possono divenire una corruzione dell’anima agendo da freno per l’innovazione, possono divenire una nostra seconda natura, un fardello di automatismi che si oppone alla nostra creatività. Ecco, ora che ci penso, mi ero proposto di non emettere giudizi, ma vedo che la forza dell’abitudine è ancora possente in me! Ora mi allontano sul sentiero, riascolto l’acqua che corre, mi godo la frescura del bosco.

FILOTEO NICOLINI

Immagine: Lorenzo Peretti, Paesaggio serale.

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