SUL MUTUO RICONOSCIMENTO
C’è stata una notizia che mi ha commosso i giorni scorsi. Quella del poliziotto di Roma che riesce a salvare dal suicidio la sua professoressa di liceo riconoscendo la sua voce dietro la porta sbarrata e facendosi a sua volta riconoscere. Ecco, una storia edificante che diremmo circoscritta al destino dei due protagonisti. Ne prendo lo spunto per riflettere sul mutuo riconoscimento, che oggi è per noi tutti compito inevitabile.
Se le mani ci servono simbolicamente per compiere la nostra missione, i piedi ci portano là dove il destino ci chiama, destino concepito però non come forza capricciosa, ma come complesso di situazioni che abbiamo creato noi stessi e che hanno bisogno di equilibrio. È a volte la calamità che ineluttabilmente si presenta, o la gioia improvvisa, quando sono date le condizioni nell’oceano delle possibilità.
È il destino. Nel destino siamo congiunti con tutto il cosmo, in quanto questa sfera simbolica degli arti e dei piedi è senza limiti, è dappertutto e si sposta sempre: il centro della sfera del destino è, di volta in volta, là dove il destino ci chiama. Se si deve incontrare una persona, le nostre forze si incentrano su di essa; se il centro della sfera del nostro destino, nei prossimi cinque minuti, è in un dato punto, questo punto attira tutti i nostri sensi: perciò non è vero che noi “vediamo” le cose a caso o “annusiamo” le cose a caso. Le percezioni dei sensi non avvengono mai a caso, ma si orientano venendo richiamate, calamitate dalle forze dell’Io. Il nostro Io è sempre là dove il destino ci chiama, e, da quel punto di osservazione cosmica, attira in senso reale, non metafisico, tutta l’attenzione dei nostri sensi. Nessun essere umano getta mai uno sguardo a caso: il caso è un’invenzione di chi non sa come stanno le cose, nel mondo del destino il caso non esiste.
Ora, se vogliamo allargare lo sguardo, dobbiamo ammettere che quando una persona ne incontra un’altra, c’è bisogno di molto tempo per conoscerla bene. Entrambe devono apprendere molto reciprocamente fino ad acquistare una certa fiducia reciproca. Quello che al giorno d’oggi si ottiene, e non sempre, dopo una lunga convivenza, nel lontano passato era contatto immediato di sentimenti, senza necessità di grandi scambi di idee e presentazioni. Era dispensata, si fa per dire, una convivenza prolungata. Era un po’ simile a quando riconosciamo a prima vista i colori di un fiore o di una pianta. Oggi la nostra anima è passata per una profonda trasformazione, ci fronteggiamo con le persone che incontriamo quotidianamente di una forma ben più impersonale, quasi anonima. La costituzione della nostra anima ha una oggi una natura che implica la separazione, l’individualismo, l’egoismo e la solitudine. Ci sentiamo spinti verso l’isolamento, e in ciò risiede la maggiore difficoltà di conoscersi reciprocamente e guadagnare l’intimità altrui. Ma come si diceva, gli incontri nella vita quotidiana non sono risultati del caso: i percorsi della vita fanno sì che incontriamo certe persone e non altre. È il nostro karma individuale, che si è ingrossato col passar del tempo. Per il fatto che tutti siamo passati per tante incarnazioni finiamo per incontrare persone con le quali avemmo relazioni anteriori e quando già ci eravamo conosciuti. Tali incontri nella vita ci appaiono frutto del caso, ma in realtà tutto deriva dal passato. Il tempo per questo mutuo riconoscimento, con tutto ciò che questo comporta, è ora certamente più lungo e complesso, in quanto dobbiamo far emergere per mezzo dei sentimenti i vissuti avuti insieme e il sorgere ancora incosciente e istintivo delle reminiscenze.
FILOTEO NICOLINI