Fonte: contro la crisi
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STORIE PRECARIE – di PATRIZIO DI NICOLA, FRANCESCA DELLA RATTA-RINALDI, LUDOVICA IOPPOLO, SIMONA ROSATI – ed. EDIESSE
Fare parte della «generazione senza» significa non potersi permettere progetti di vita, non avere diritti elementari, stare peggio dei propri genitori pur avendo studiato di più. Si vive ai margini del mercato del lavoro vedendosi negata una parte importante della propria identità.
Precarietà, dequalificazione, disoccupazione, scoraggiamento formano oggi una miscela esplosiva in cui è avviluppata un’intera generazione di giovani dai 20 ai 35 anni. L’indagine – promossa da Cgil e Smile, in collaborazione con la rivista Internazionale – aiuta a capire meglio l’«arcipelago della precarietà» attraverso la raccolta e l’analisi di quasi 500 storie di lavoratori e lavoratrici atipici. La ricerca riordina tutte le varie tipologie di precariato ma soprattutto dà voce a chi la precarietà la vive tutti i giorni sulla propria pelle: posizioni, profili, percorsi, vicissitudini, atteggiamenti, contesto familiare, linguaggio. Sono questi gli elementi che aiutano davvero a capire cosa voglia dire essere precario oggi.
Per cambiare questa situazione non basta una buona legge: bisogna ripensare la cittadinanza sociale e il welfare, in modo che sia garantito un futuro ai lavoratori, a prescindere dal contratto che hanno stipulato. Il sindacato per lungo tempo è stato assente e molti dei precari intervistati lamentano la delusione e la lontananza da ogni possibile sistema di rappresentanza. È giunto allora il momento di fare autocritica e di intraprendere un nuovo percorso.
Gli intervistati
La ricerca svolta si caratterizza per un ampio ricorso alle testimonianze degli intervistati: difatti, per rendere il più possibile aderenti al loro vissuto le informazioni rilevate nel questionario sono stati previsti ampi spazi testuali che hanno consentito di raccogliere vere e proprie testimonianze di vita precaria. Il questionario si apriva con alcune domande cui bisognava rispondere obbligatoriamente per procedere con la compilazione.
La prima chiedeva: «Raccontaci la tua storia di lavoro precario. Quali sono le tue preoccupazioni più gravi, quali sono state le delusioni o le soddisfazioni. Ci interessano anche le tue aspettative per il futuro e, se ne hai, le tue paure. Insomma vorremmo che ci raccontassi con parole tue che cosa è la precarietà per te».
La scelta di far cominciare la compilazione del questionario con la redazione di un testo ha probabilmente scoraggiato più di qualcuno, riducendo la numerosità della potenziale platea dei rispondenti. Tuttavia, poiché l’obiettivo dell’indagine era proprio quello di costruire un corpus di testimonianze dettagliate sul tema della flessibilità e della precarietà, e non un ulteriore «affresco» quantitativo del fenomeno della precarietà nel lavoro, si è deciso che valeva la pena di correre il rischio dell’autoselezione dei rispondenti.
Sono 470 i questionari raccolti con l’indagine «Storie precarie». Gli intervistati provengono nel 45,3% dei casi dal Nord, nel 32% da una regione del Centro, nel 21,1% dal Mezzogiorno, mentre l’1,6% vive all’estero. Oltre un terzo risiede in un comune fino a 50 mila abitanti, il 28% in un comune di media dimensione (tra 50 mila e 500 mila) mentre il 32% vive in una città con oltre 500 mila abitanti. All’indagine hanno partecipato soprattutto donne (il 73% degli intervistati) e persone con un titolo di studio elevato: il 43% ha una laurea e il 30,2% un titolo post laurea (dottorato, master o specializzazione). L’età media è di 36 anni; quasi un terzo ha tra 30 e 34 anni (27%) e il 21,5% ha meno di 29 anni. Quasi la metà degli intervistati vive con il coniuge o il partner, un quinto vive ancora con i genitori, il 18% da solo, mentre il 12% vive con altre persone. Poco meno di un terzo ha figli (27,7%).
Come prevedibile sono i più giovani a vivere ancora con la famiglia di origine o condividere la casa con altre persone, mentre al crescere dell’età aumentano le persone che convivono con un partner o che vivono da sole.
Più della metà (53,1%) abita in una casa in affitto, e in proporzione, a dover pagare un canone sono soprattutto le persone che vivono da sole rispetto a coloro che sono in coppia. È chiaro che nella prospettiva di acquistare una casa, la scelta di metter su famiglia rappresenta la condizione da cui partire. Infatti, tra coloro che vivono in una casa di proprietà poco meno della metà (47,1%) sta pagando un mutuo. In altri termini, in due si può decidere di affrontare un simile investimento, anche se si è precari, mentre da soli la situazione diviene assai più critica.
Condizione abitativa degli intervistati (valori percentuali): tra coloro che vivono in coppia circa un terzo (il 31,9%, 72 persone) si trova in una situazione di maggiore vulnerabilità in Da solo/a con o senza figli 18% Con i genitori 22% Con il coniuge/convivente con o senza figli 48% Con altre persone 12% quanto o entrambi nella coppia hanno un lavoro precario o al lavoro precario dell’uno si associa la condizione di disoccupazione o inoccupazione dell’altro. Rispetto alle altre persone in coppia, a fronte di una distribuzione del titolo di studio pressoché identica, coloro che vivono in questo tipo di coppia sono mediamente più giovani e vivono più spesso in affitto. A trovarsi in questa condizione sono più spesso gli uomini (che sono il 32% nelle coppie svantaggiate a fronte del 25% nel totale di chi vive in coppia).
Probabilmente, sia per via della più giovane età e soprattutto in ragione della condizione di vita più instabile, in questo gruppo soltanto il 37,5% dichiara di avere figli, a fronte del 47,8% delle coppie.
All’elevato livello di istruzione degli intervistati corrisponde (per chi ha o ha avuto un lavoro) una professione ad elevato contenuto di specializzazione: oltre la metà del campione svolge una professione che rientra nel secondo grande gruppo della classificazione delle professioni ISTAT (quello in cui rientrano le «professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione»). Se si considera l’insieme dei primi tre grandi gruppi della classificazione ISTAT2, rappresentativo dell’insieme delle professioni qualificate (oltre a quelle intellettuali vi sono quelle del primo grande gruppo in cui rientrano i «legislatori, imprenditori ed alta dirigenza» e le professioni tecniche del terzo grande gruppo), si arriva al 75,8% degli intervistati con una professione qualificata (tabella 2.1), a fronte del 19,7% che ha un impiego esecutivo nel lavoro d’ufficio o uno qualificato nel commercio o nei servizi (quarto e quinto grande gruppo) e del 4,5% che ha un lavoro di tipo operaio o non qualificato. Tra gli intervistati, le professioni più diffuse sono quelle del mondo dell’editoria (redattori, giornalisti, grafici, traduttori, 19,1%) o dell’insegnamento (14,6%). Seguono le attività esecutive d’ufficio o il customer care (9,8%), le professioni tecnico-gestionali e del marketing (8,1%) e le attività di ricerca svolte da ricercatori attivi nelle università o negli enti di ricerca (7,2%).