Storie di New York

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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Possiamo immaginare lo stupore con cui nel 1898 i De Rosa guardano New York che si staglia di fronte a loro, alla fine del lungo viaggio che hanno cominciato dalla Calabria. Certamente non possono pensare che uno dei loro figli, il piccolo Eugenio che ha solo quattro anni, sarà uno degli uomini che farà diventare New York la capitale dei Roaring Twenties. Infatti Eugene – come viene in seguito chiamato – è il giovane architetto De Rosa che ha progettato i più importanti teatri della città nel momento del suo massimo fulgore, dal Vanderbilt all’Apollo, dal Lafayette al Klaw, compreso il Broadway Theatre, inaugurato il giorno di Natale del 1924. In quel grande teatro il 18 novembre 1928 viene proiettato in anteprima un breve cartone animato, in cui si racconta la storia di un topo scanzonato che, fingendosi il capitano, conduce un battello a vapore lungo un fiume, per far colpo sulla sua bella “topolina”, e il 13 novembre 1940 viene presentato per la prima volta un film in cui quello stesso topo – un po’ cresciuto, ma sempre pronto a mettersi nei guai – credendosi un mago, perde il controllo delle migliaia di scope che ha creato per farle lavorare al suo posto.
Il rispettabile giudice Curtis Arnoux Peters, che nel 1926 ha raggiunto l’apice della propria carriera con la nomina alla Corte suprema dello Stato di New York, immagina che suo figlio – che è nato nel gennaio del 1904 e porta il suo stesso nome – diventerà anche lui un uomo di legge: per questo lo ha mandato a studiare a Yale. Ma nella prestigiosa università il giovane si distingue soprattutto per l’umorismo delle sue vignette sulla rivista The Yale Record e perché suona il pianoforte, il banjo e la fisarmonica in una piccola orchestra jazz da lui fondata, The Yale collegians. Il suo destino non è evidentemente quello di seguire le orme paterne e così, quando nel 1925 Harold Ross e Jane Grant fondano The New Yorker, Peter Arno – come comincia a farsi chiamare – entra stabilmente nella redazione e per quella rivista disegna ben novantanove copertine e un gran numero di vignette, caratterizzandola con il suo umorismo sofisticato e l’eleganza delle sue illustrazioni. E nella redazione del New Yorker Peter incontra Lois Long, che con lo pseudonimo Lipstick firma le più celebri cronache della vita notturna della città che non dorme mai.
Anche Bartolomeo e Rosa Durante sono arrivati a New York dall’Italia, da Salerno per la precisione, e pensano che il loro figlio James Francis, che fa il chierichetto nella chiesa di san Malachia nel Lower East side, da grande farà il barbiere come il padre. Certo con quel naso non potrà mai entrare nel mondo dello spettacolo, anche se Jimmy ha imparato a suonare il pianoforte e ama il ragtime, la nuova musica dei neri. Fa tanta gavetta, suona nei night e nei locali di Manhattan, e alla fine riesce ad entrare nella Original New Orleans jazz band, l’orchestra di jazz più famosa di New York: è l’unico che non sia di New Orleans. In pochi anni diventa la Jimmy Durante jazz band. Gli anni Venti sono il periodo in cui quel giovane nato nel 1893 sfonda, nei vaudeville di New York e poi alla radio. Jimmy sa suonare e sa cantare e poi è terribilmente simpatico, gioca con le parole e con la musica: il pubblico lo adora. In una canzone del 1934 il naso di Jimmy Durante e i piedi di Fred Astaire entrano di diritto tra le cose top. Infine il suo inconfondibile profilo diventa familiare negli Stati Uniti grazie a quella “strana” radio che negli anni Cinquanta entra in tutte le case. Per Bartolomeo e Rosa il sogno americano si è realizzato: il loro figlio con quel grosso naso è diventato una star.
James Omar Cole, detto Jo, è uno dei pochi che ha fatto i soldi nella corsa all’oro del 1849, poi, per la sua capacità di fare affari e la sua assoluta mancanza di scrupoli – un valore nell’America della seconda metà dell’Ottocento come in quella di oggi – grazie al carbone e al legname è diventato l’uomo più ricco dell’Indiana. Vuole fare di suo nipote – nato nel 1891 – il figlio della “sua” Kate e di quel debole di Samuel Porter, il proprio erede; il ragazzo si chiama Cole proprio per segnare il legame con il nonno, visto che il cognome deve essere quello del padre. Pur che il ragazzo abbia buoni voti a scuola, il vecchio accetta che Kate insegni a Cole a suonare il pianoforte. Nel 1909 Cole viene iscritto a Yale e il nonno si assicura che studi con profitto, e il ragazzo obbedisce. Cole trova anche il tempo di cantare con il coro e soprattutto di comporre delle canzoni per gli spettacoli che gli studenti mettono in scena nel campus e un paio di inni per la squadra di football – che sono cantati ancora oggi durante le partite – ma il vecchio anche in questo caso abbozza: la passione per la musica alla fine gli passerà e, una volta che sarà diventato avvocato, potrà prendere in mano gli affari di famiglia. E’ in questi anni che quel ragazzo dell’Indiana decide che New York sarà la “sua” città. Cole è attratto da New York coma una falena: il pomeriggio lascia il campus, prende il treno e arriva a Manhattan, frequenta i locali, cena nei migliori ristoranti, assiste agli spettacoli di Broadway, poi riprende il treno per essere al mattino puntuale a lezione. Cole, dopo essersi diplomato, segue ancora una volta le indicazioni del nonno e si iscrive nel 1913 alla facoltà di legge di Harvard, ma ben presto il decano della facoltà gli consiglia di trasferirsi al dipartimento di musica: nel mondo ci sono già abbastanza avvocati mediocri, meglio sperare in un grande musicista. Questa decisione viene tenuta segreta al nonno: il sogno americano di Jo Cole non si realizza.
 
E’ l’8 dicembre 1930: debutta al Broadway Theatre, progettato da Eugene De Rosa, il musical The New Yorkers. Peter Arno ha scritto un soggetto, una satira elegante sulla vita della città e sui suoi tipi umani negli anni del jazz e del proibizionismo, dalle signore dell’alta società ai gangster, dagli artigiani alle prostitute. Al produttore Ray Goetz l’idea piace molto, gli sembra il modo giusto per far dimenticare ai suoi concittadini la Grande depressione. Goetz vuole creare un grande spettacolo, chiede a Cole Porter di scrivere le canzoni e scrittura Jimmy Durante come protagonista: l’attore accetta, ma a patto di poter comporre le “sue” cinque canzoni. Peter Arno disegna sia i costumi che le scene: New York deve apparire bella ed elegante come solo lui sa fare. E’ un successo: è il musical che “crea” l’immagine di New York degli anni Venti e la consegna per sempre all’immaginario delle generazioni future.
Per The New Yorkers Cole Porter scrive uno dei suoi capolavori: Love for sale. Porter dimostra un coraggio notevole per un compositore all’inizio della carriera, scrive una musica avvolgente, quasi ipnotica, e un testo assolutamente esplicito. E’ una prostituta che offre agli uomini quello che ha da vendere: amore, amore di ogni tipo, antico e nuovo. Una sola cosa i suoi clienti non possono aspettarsi da lei, l’amore vero. E prende in giro i poeti – e gli autori di canzoni – che parlano sempre dell’amore e credono di sapere cosa sia: lei conosce l’amore molto meglio di tutti loro.
E’ Kathryn Crawford che nelle prime rappresentazioni canta Love for sale: di fronte a un ristorante di lusso di Manhattan attira i clienti, invitandoli a seguirla, salendo le scale. Kathryn è una giovane attrice che ha partecipato ad alcuni spettacoli sulla costa occidentale e ha ottenuto un contratto con la Universal. Ha già fatto diversi film, è un’attrice emergente, quando ha la possibilità di debuttare a Broadway nella parte della prostituta in The New Yorkers: la sua carriera può davvero sbocciare. Ma Kathryn è una ragazza bianca e il pubblico non accetta di vedere sul palcoscenico una giovane donna bianca che interpreta quella canzone così “di cattivo gusto”, come scrivono i giornali. Goetz chiede a Porter e al regista di modificare la scena e Kathryn viene sostituita. Torna a Hollywood, ma la sua carriera non riuscirà più a decollare: farà qualche film, uno anche da protagonista, ma nulla di memorabile: nel ’41 si ritirerà definitivamente.
Viene scritturata una cantante nera, Elisabeth Welch, e la scena viene portata ad Harlem, davanti al Cotton Club. Elisabeth è una giovane cantante mulatta nata nel New Jersey. Ha già lavorato a Broadway e a Parigi nella compagnia di Josephine Baker. Torna a New York per entrare nel cast di The New Yorkers, la sua interpretazione di Love for sale è magnifica e la sua carriera ha una svolta. Due anni dopo Cole Porter la invita a Londra per partecipare a Nymph errant, e rimarrà in questa città fino alla fine della guerra, diventando una delle regine del West End. Nella sua carriera sarà la prima interprete di classici come Stormy weather e As time goes by.
I benpensanti sono soddisfatti: non sono più costretti ad assistere allo “scandalo” di una prostituta bianca che si offre così esplicitamente, per di più rappresentata davanti a uno dei ristoranti che loro frequentano. Una “negra” può dire quelle cose ad Harlem. E non si rendono conto – i benpensanti in genere sono piuttosto stupidi – che in quella scelta degli autori – e di Porter in particolare – c’è una condanna ancora più forte della loro ipocrisia, per quanto nascosta sotto l’ironia, perché il Cotton Club è frequentato solo da bianchi e ovviamente sono bianchi i clienti delle prostitute nere che stanno davanti al locale. Quando Porter sceglie Elisabeth Welch per farle cantare Love for sale, dice al bel mondo di New York: il vostro razzismo, che ci ha impedito di rappresentare una prostituta bianca, non vi impedisce di andare con le puttane nere.
Le radio per anni non trasmetteranno Love for sale, anche quando Cole Porter sarà celebrato come uno dei più importanti e autorevoli autori di canzoni degli Stati Uniti. Però la canzone è talmente bella che diventa ugualmente un classico: tutte le grandi interpreti del jazz la vorranno cantare. E una di loro la farà per sempre la “sua” canzone.
 
Eleanora Fagan – che è nata a Philadelphia nel 1915 – arriva a New York all’inizio degli anni Venti e il suo destino è segnato. E’ la figlia di Sadie Fagan, una ragazza nera che ha solo tredici anni quando partorisce la bambina; il padre, un suonatore di banjo poco più grande di lei, le abbandona per seguire la sua orchestra. La madre si trasferisce a New York dove fa la cameriera. Nel 1929, quando scoppia la grande crisi, Sadie ed Eleanora, che ha solo quattordici anni, diventano prostitute.
Eleanora conosce bene le scale che i ricchi cittadini bianchi di New York salgono per arrivare al bordello dove lei vende il suo amore, per cinque dollari. Dopo che ha finito il suo “lavoro”, chiede alla tenutaria di poter pulire quelle scale, ottenendo in cambio il permesso di ascoltare dal fonografo del salotto i dischi di musica jazz. Nessuno di quegli uomini che lo comprano conosce il suo vero amore, quello che la farà diventare Billie Holiday.
 
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