Stato di crisi

per Gabriella
Autore originale del testo: Benedetto Vecchi
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/interregno-lo-spazio-liquido-dellesistenza/

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STATO DI CRISI –  di CARLO BORDONI E ZYGMUNT BAUMAN – ed. EINAUDI

L’impoverimento e le disuguaglianze sociali hanno evidenziato l’implosione di un modello economico. ’Ue è il laboratorio dove sperimentare, in più occasioni, le varie politiche legate all’austerity

recensione di Benedetto Vecchi, da Il Manifesto

Un dia­logo dove uno dei par­te­ci­panti incalza l’altro, il quale si sot­trae e spinge la discus­sione su altri binari. E quando la parola torna al primo, quest’ultimo non può che ripren­dere il ban­dolo della matassa e cer­care di rites­sere le fila di una discus­sione che corre il rischio annul­larsi in una serie di mono­lo­ghi. La forma del dia­logo per affron­tare un tema è antica, la si trova nella filo­so­fia greca, ma anche in testi sacri, com­preso il vec­chio testa­mento. La sua effi­ca­cia dipende dal tema pre­scelto e dalla volontà dei pro­ta­go­ni­sti del dia­logo di misu­rarsi con punti di vista che non sem­pre coin­ci­dono. Nel caso di Stato di crisi (Einaudi, pp. 198, euro 18) è però evi­dente che Zyg­munt Bau­man e Carlo Bor­doni sono più che dispo­ni­bili a misu­rarsi con le tesi che ven­gono espresse.

Carlo Bor­doni è un socio­logo che stu­dia da tempo la «demas­si­fi­ca­zione» delle società con­tem­po­ra­nee. Ha deli­neato la deriva cul­tu­rale verso un indi­vi­dua­li­smo pro­prie­ta­rio, sot­to­li­neando i tratti di nichi­li­smo, nar­ci­si­smo che emer­gono quando una mol­ti­tu­dine – una som­ma­to­ria gene­rica di sin­goli di sin­goli, per Bor­doni — prende il posto delle classi sociali. Zyg­munt Bau­man è invece il teo­rico della moder­nità liquida.

In que­sto libro svolge il ruolo del sag­gio stu­dioso che, alla luce della sua espe­rienza, è poco incline a fare pro­prie sug­ge­stioni teo­ri­che che il sistema dei media porta alla ribalta. Misura le parole, quasi volesse sug­ge­rire al suo inter­lo­cu­tore che la crisi, il tema attorno al quale ruota il loro dia­logo, costringa a misu­rarsi pro­prio con la moder­nità, i suoi punti di forza, ma anche i vicoli cie­chi che l’hanno carat­te­riz­zata. Segnala, infatti, che in nome delle pro­messe degli esordi — libertà, benes­sere per tutti — sono state erette pri­gioni e costruiti campi di lavoro. E che per ren­dere ope­ra­tiva almeno una di quelle pro­messe, il benes­sere della nazione, sono stati indi­vi­duati dei nemici e pia­ni­fi­cato il loro ster­mi­nio. Per que­sto invita più volte a dotarsi di bus­sole che orien­tino con chia­rezza la mar­cia da intra­pren­dere nell’interregno che separa il pre­sente e un futuro che in molti vedono negato dalle poli­ti­che del neo­li­be­ra­li­smo e che altri temono come la peste, per­ché con­vinti che non potrà che peg­gio­rare le loro con­di­zioni di vita. A tale richie­sta di cau­tela pro­gram­ma­tica Bor­doni ade­ri­sce, ma più volte mette nero su bianco che — rispetto le sfide poste dalla situa­zione di crisi eco­no­mica — vanno imma­gi­nate anche rispo­ste politiche.

Legit­ti­mità perduta

Il titolo del libro in que­stione chia­ri­sce tut­ta­via quale sia il timore di Carlo Bor­doni. Lo Stato di crisi attorno al quale discu­tono i due stu­diosi non si rife­ri­sce solo alla crisi che dal 2007 in poi ha get­tato nel panico e nel lastrico milioni di per­sone. L’impoverimento, la disoc­cu­pa­zione di massa, l’aumento espo­nen­ziale delle disu­gua­glianze sociali hanno reso evi­dente l’implosione di un modello eco­no­mico e sociale che era stato impo­sto per­ché il pre­ce­dente mostrava evi­denti segni di logo­ra­mento; per que­sto si è impo­sta la con­vin­zione che ha avuto la capa­cità di costruire un forte e niente affatto effi­mero con­senso, di rimuo­vere, con le buone ma anche con le cat­tive, i vin­coli posti dal cosid­detto regime di accu­mu­la­zione capi­ta­li­stica fordista.

Sono ormai pas­sati trent’anni da quando alcuni lea­der poli­tici (Mar­ga­ret That­cher e Ronald Rea­gan) e un nutrito gruppo di eco­no­mi­sti invi­ta­vano con voce sua­dente a lasciare liberi gli spi­riti ani­mali del mer­cato per­ché — così facendo — tutto sarebbe andato per il meglio. Le cose non sono andate per niente bene, ma l’idea che il libero mer­cato fosse il miglior modo di pen­sare e di far fun­zio­nare l’economia è stata egemone.

Non è sem­pre con­vin­cente la gene­ra­liz­za­zione che i due autori fanno, spe­cial­mente quando met­tono in secondo piano il fatto che il neo­li­be­ri­smo ha modi­fi­cato a favore delle imprese, e del capi­tale, i rap­porti di forza. Le posi­zioni di Bau­man e Bor­doni col­gono però il segno quando sot­to­li­neano che, con la crisi, il neo­li­be­ri­smo, ha perso con­senso e legit­ti­mità, anche se non si capi­sce con chia­rezza quale sia il modo di pro­durre che possa far ripar­tire la loco­mo­tiva dell’economia mondiale.

Il neo­li­be­ri­smo, infatti, ha costi­tuito una discon­ti­nuità rispetto al pas­sato. Dif­fi­cile ripro­porre un ritorno al wel­fare state su base nazio­nale, viste le inter­di­pen­denze che carat­te­riz­zano l’economia mon­diale. Un modo per sbro­gliare la matassa potrebbe par­tire però dall’analisi di come ha col­pito la crisi. Sono cre­sciute le disu­gua­glianze nel capi­ta­li­smo euro­peo e sta­tu­ni­tense; i diritti di cit­ta­di­nanza sono diven­tati merci da acqui­stare sul mer­cato dei ser­vizi sociali; la pre­ca­rietà è diven­tata l’alfa e l’omega nei rap­porti di lavoro.

Cose note, meno evi­dente è invece il fatto che sono state defi­nite vie d’uscita dalla crisi del neo­li­be­ri­smo all’interno dello stessa regime di accu­mu­la­zione. L’Unione euro­pea è, da que­sto punto di vista, un labo­ra­to­rio sociale e poli­tico di uscita dalla crisi attra­verso le poli­ti­che di auste­rity.
Ad altre lati­tu­dini, sono ope­ra­tive solu­zioni che, sem­pre in nome del libero mer­cato, vedono lo stato svol­gere, attra­verso un governo gestito con mano ferma di un par­tito comu­ni­sta, una dut­tile e comun­que evi­dente fun­zione pia­ni­fi­ca­trice. Non è tut­ta­via que­sto che i due autori vogliono indagare.

Un futuro da ricreare

Il libro oscilla dalla volontà di offrire una foto­gra­fia non sfo­cata della realtà con­tem­po­ra­nea e l’ambizione di costruire una vera e pro­pria capa­cità inter­pre­ta­tiva dello stato di crisi, appunto, che nelle pagine di que­sto libro ha molto a che fare con la crisi della modernità.

E se Bau­man pre­fe­ri­sce, come è noto, par­lare di moder­nità liquida, Bor­doni avanza il sospetto che più di fine della moder­nità si debba par­lare di una sorta di venir meno di un intera costel­la­zione cul­tu­rale, poli­tica e eco­no­mica basata sul l’idea di pro­gresso, dove il futuro non poteva essere che migliore del pas­sato.
Ele­mento cen­trale della sua rifles­sione è appunto la «demas­si­fi­ca­zione» delle società con­tem­po­ra­nee: pro­spet­tiva ana­li­tica che il socio­logo polacco inqua­dra però come un ele­mento pro­prio della moder­nità, che al sem­pre messo al cen­tro il sin­golo, che poteva certo atten­dere per con­se­guire i suoi obiet­tivi, ma era con­sa­pe­vole che tutti gli sforzi erano fina­liz­zati alla sua feli­cità. La parola chiave, magica del libro è dun­que inter­re­gno, cioè di una tran­si­zione da un modo di pro­du­zione all’altro. Quel che però è assente dal libro che la crisi, cioè lo stare pro­prio in un inter­re­gno, è una con­di­zione non con­giun­tu­rale, ma sta­bile del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo. In altri ter­mini, l’interregno sarà la realtà «sta­bile» della vita asso­ciata. E che in que­sto inter­re­gno si defi­ni­ranno poli­ti­che sociali e eco­no­mi­che per gestire una realtà che ha sì messo in qua­ran­tena l’idea di pro­gresso, ma senza rinun­ciare a defi­nire le regole bron­zee del capi­ta­li­smo nella pro­du­zione della ricchezza.

C’è sem­pre un però da met­tere in campo: che la crisi, così come vivere nell’interregno, diventi una pos­si­bi­lità per affer­mare quel ren­dere realtà un bino­mio che ha accom­pa­gnato la moder­nità: cioè quella pos­si­bi­lità di vivere insieme, ma da liberi e eguali.

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