Statalizzazioni e mitologie

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 23 agosto 2018

Si fa un gran parlare di nazionalizzazioni. Lo si fa in appendice al disastro di Genova e alla questione della concessione ad Autostrade. Il termine è suggestivo, richiama quello di ‘nazione’, e quindi quello di ‘popolo’, concetti che molti legano indissolubilmente tra loro. Viene in mente il nazional-popolare, ma non in senso gramsciano, piuttosto pippobaudiano, che si esprimeva di solito nelle “Domeniche in” pomeridiane. Meglio si dovrebbe dire “statalizzazione”, che è termine politico, e non evoca nessuna mitologia e nessun romanticismo ‘nazionalistico’ e populistico. Se così fosse, se dicessimo invece ‘statalizzazione’, dovremmo necessariamente porci la domanda: quale Stato?

Perché una cosa è che a gestire grandi aziende e grandi capitali sia uno Stato democratico, centrato attorno ai partiti e alle istituzioni rappresentative. Altra cosa, invece, è che ci si affidi a uno Stato ridotto a pochi uomini soli al comando, con istituzioni alla frutta, rappresentativo soltanto di quella ‘società dell’immediatezza’ di cui parla De Rita. Per la quale le forme di mediazione sono spazzatura e tutto si sintetizza nel tifo da curva al governo e nei selfie ai funerali di Stato. Dire ‘statalizzazione’ vuol dire evocare la politica, la qualità della vita pubblica e delle istituzioni. Ossia mettere in questione lo Stato, metterlo in controluce.

Dire ‘nazionalizzazione’ invece significa innalzare la bandiera del “mito”: il mito della nazione proletaria unita contro i plutocrati e i burocrati europei, e quello del ‘popolo’ che supera le contraddizioni sociali al suo interno in nome di una sorta di bene superiore. Tutta roba già vista. Ci manca solo che novelli Enrico Corradini e Alfredo Rocco tornino ad arringarci, e abbiamo fatto tombola.

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