Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
Url fonte: http://ipensieridiprotagora.blogspot.it/2017/01/verba-volant-343-proporzione.html
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di Luca Billi 30 gennaio 2017
Qualche giorno fa i giudici della Consulta hanno emesso una sentenza che ha definitivamente affossato la legge “più bella del mondo”, come era stata incautamente definita dall’ometto che l’aveva promossa. Con quella sentenza la Corte – dovendo comunque garantire che ci fosse una legge elettorale – ha reintrodotto il proporzionale. Anche se nessuno ormai immagina di associare la bellezza a questo sistema elettorale.
Per più di vent’anni ci hanno spiegato che il proporzionale era il male e che questo paese si sarebbe salvato solo introducendo il maggioritario, anzi sempre più maggioritario. Anch’io ci sono cascato a suo tempo, anch’io ho sostenuto che era necessario superare il proporzionale e aprirsi totalmente al maggioritario, perché bisognava garantire prima di tutto la governabilità. Si è trattato di un errore fatale, che alla lunga ci ha uccisi, perché il maggioritario è stato una sorta di cavallo di Troia, usando il quale i nemici della democrazia sono entrati dentro i bastioni e hanno distrutto la città.
Ci eravamo talmente convinti che ci siamo dimenticati di un punto fondamentale: un sistema elettorale non è mai più forte della politica. Pensiamo alla storia repubblica, a quegli anni che per convenzione chiamiamo “prima Repubblica”: c’era il proporzionale, eppure il sistema politico era stabile, anzi era troppo stabile, tanto da sclerotizzarsi e quindi morire. Quando renzi tentava di venderci la sua paccottiglia elettorale, diceva che finalmente avremmo saputo la sera delle elezioni chi aveva vinto. Allora, al tempo del proporzionale puro, lo sapevamo benissimo: chiuse le urne, sapevamo che aveva vinto la Democrazia Cristiana. Era così perché quel partito aveva molti voti, la maggioranza dei voti, e molto consenso nel paese – su come otteneva quei voti e quel consenso non è il tema di questa riflessione, ma comunque li aveva, anche se ottenuti in maniera illegale – e c’era un quadro politico internazionale che impediva altri possibili esiti. Tanto è vero che quando parve che la situazione politica italiana potesse cambiare, in maniera blandamente radicale, ma troppo radicale per qualcuno, ci fu un pesante intervento esterno che riportò l’ordine, il “loro” ordine: la storia italiana dal 1969 al 1980 – la stagione delle stragi e del terrorismo – racconta in sostanza questo. Non era il sistema elettorale che garantiva quella stabilità, erano altri fattori, politici e storici. La legge elettorale serviva a fotografare, nella maniera più realistica possibile, quello che succedeva nella politica del nostro paese: questo deve fare una legge elettorale, non può sostituirsi alla politica.
In Italia invece è avvenuto proprio questo. Ci siamo convinti – ci hanno convinto – che bastasse cambiare la legge elettorale per trasformare il paese. E così abbiamo introdotto il maggioritario per eleggere i consigli degli enti locali e l’elezione diretta di sindaci, presidenti di provincia e di regione, e abbiamo sperimentato varie soluzioni per rendere sempre più maggioritaria la legge attraverso cui scegliamo i nostri rappresentanti in parlamento, accarezzando l’idea di eleggere direttamente anche il presidente della Repubblica o quello del consiglio. E man mano che facevamo questi cambiamenti la fotografia diventava sempre meno nitida, perché questi sistemi non erano in grado di fotografare la realtà e soprattutto perché quella realtà diventava giorno dopo giorno sempre più confusa. Più non capivamo cosa stava diventando la politica, più credevamo che una nuova legge elettorale ce lo avrebbe chiarito, invece introducevamo sempre nuovi elementi di confusione.
Perché l’obiettivo di quelli che allora ci spiegavano che il maggioritario ci avrebbe salvato era quello di diminuire gli ambiti della democrazia, di rendere meno forti le istituzioni, di screditare la politica. E’ un disegno di cui ora, a vent’anni di distanza, possiamo riconoscere lo svolgimento con una certa precisione e che ci ha portati, in maniera quasi naturale, alla riforma costituzionale varata dal precedente governo, che avrebbe, se non completato, portato molto avanti quel progetto. Il passo successivo, e finale, sarebbe stata l’elezione diretta – e plebiscitaria – dell’esecutivo. Il nostro NO, più o meno consapevole, del 4 dicembre ha rappresentato un freno, quel cammino è stato solo interrotto, è stato rallentato, ma non siamo riusciti a invertire il senso di marcia, perché vent’anni di propaganda contro la politica sono lunghissimi e hanno lasciato il segno, perché quel che rimane della politica è per lo più screditata, perché le forze che allora cominciarono quel progetto sono ancora in campo, mentre noi, che teoricamente dovremmo opporci, siamo deboli, spauriti, divisi. Spesso inconsapevoli della sfida che abbiamo di fronte e dei pericoli che stanno correndo le istituzioni. E noi con loro, perché difendere la Costituzione, vuol dire difendere i più deboli, quelli che hanno bisogno di essere tutelati dalle regole.
Non mi fido molto dei giudici della Consulta, anche loro rispondono a poteri che esulano dalle dinamiche democratiche; se hanno introdotto questa specie di proporzionale è perché sanno che ormai neppure questa legge elettorale sarà in grado di ristabilire un minimo di decenza alla politica, anche se è quella voluta dai Costituenti, è quella che meglio si adatta all’impianto della nostra Costituzione, è quella che garantisce di più i cittadini. Troppo tempo è passato, troppe parole sono state spese, soprattutto troppo debole è diventata la politica in Italia, come nel resto del mondo. Per questo serve un’altra grammatica, serve ribaltare il tavolo e ricominciare.