Fonte: micromega
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di Giacomo Russo Spena e Luca Tancredi Barone 12 novembre 2015
In grande ascesa nei sondaggi, il nuovo partito spagnolo potrebbe essere la sorpresa al voto del 20 dicembre. Il giovane leader Albert Rivera, animale mediatico, è onnipresente in tv. Gli arancioni incarnano una destra moderna, inneggiano all’anticasta ma con un programma pro-austerity. È il tentativo del sistema di fermare Iglesias e il cambiamento reale del Paese.
El cambio sensato. Gli indignados di velluto. In Spagna sembra l’ora di Ciudadanos, il nuovo partito anticasta, ma pro-austerity, che sta volando nei sondaggi. A parole né di destra né di sinistra, molto tatticismo, toni populisti, un capo indiscusso e posizioni moderate. La Podemos di centrodestra. L’antidoto del sistema all’incubo di un reale ed effettivo cambiamento. In grande ascesa è il suo leader, Albert Rivera, considerato il premier più amato in vista delle elezioni nazionali del 20 dicembre. Il politico del momento. Onnipresente in tv.
Quasi 6 milioni di spagnoli davanti al televisore hanno seguito, due settimane fa, il confronto televisivo su La Sexta tra lui e Pablo Iglesias.
Un confronto in nome del rinnovamento e contro quel bipartitismo (Psoe-PP) ormai screditato. Rivera se está comiendo a Iglesias, “se lo sta mangiando”, è il commento più gettonato sui social network. Camicia bianca, jeans, faccia pulita, volto rassicurante, parla chiaro e diretto. Un animale mediatico. Sicuro di sé va sempre a braccio, anche ai comizi. “Abbiamo proposte per migliorare e riformare il Paese, senza urla e promesse irrealizzabili. Siamo capaci di governare, senza il sostegno dei poteri forti e privilegi”, va ripetendo da una trasmissione all’altra.
Il sistema può dormire sonni tranquilli. Ciudadanos è l’antidoto perfetto per rallentare la diffusione di quel virus del cambiamento iniziato col 15M. Quasi un prodotto in provetta per sottrarre consensi a Podemos che, con il tatticismo ed estrema pragmaticità, era riuscita a rappresentare il “voto di rottura” e ottenere consensi al di fuori del recinto classico della sinistra arrivando agli strati più moderati. Ora le cose cambiano.
Ciudadanos – che anch’essa punta a collocarsi al di fuori dello schema destra/sinistra – aspira ad aprire una nuova epoca “dove la distinzione tradizionale fra le due Spagne, la rossa e la blu, scompaia” così come “le posizioni conflittuali associate a questa idea”. Un “cambio sensato” – dal titolo del recente libro di Rivera – contro l’immobilismo di Pp e Psoe, ma anche contro “l’estremismo di Podemos”. La rivoluzione arancione, colore simbolo del partito.
Partiamo dalle origini. Fino al 2006, gli elettori catalani erano abituati allo scontro essenzialmente fra due partiti: Convèrgencia i Unió, di centrodestra, e i socialisti coi loro alleati, di centrosinistra. Alle elezioni si presentò per la prima volta un partito nuovo, Ciutadans de Catalunya (Cittadini catalani) che della terzietà fra i contendenti faceva bandiera, e che riuscì, alla sua prima apparizione pubblica, a ottenere quasi 90mila voti e tre seggi nel Parlament di Barcellona. Buona parte dell’inaspettato successo di un partito dichiaratamente anti ideologico – e contro il nazionalismo catalano – era del suo giovanissimo leader, Rivera, allora 27enne.
In campagna elettorale tappezzò le città di manifesti che lo ritraevano completamente nudo per trasmettere “trasparenza e semplicità”, sotto lo slogan: “E’ nato il tuo partito, ci importi solo tu”. Lo dipingono come una persona auto esigente e disciplinata. Doti che avrebbe appreso da adolescente durante i ferrei allenamenti in piscina: a 16 anni è stato campione nazionale di nuoto e ha giocato a livello agonistico a waterpolo. Avvocato, nato a Barcellona 36 anni fa, figlio di commercianti, ottimo inglese, Rivera nel suo profilo linkedin ammette di “non essere perfetto” ma di voler “cambiar le cose e lasciare il segno”.
Nel 2001 – elemento centrale per capire le potenzialità del personaggio – ha vinto il Campionato interuniversitario di dibattito contro 62 squadre dalle università di tutto il Paese con le sue oggi proverbiali doti di retorica. Laureato col massimo dei voti nel prestigioso ateneo privato di Esade, Erasmus in Finlandia e master in marketing politico a Washington, dal 2002 al 2006 ha lavorato 4 anni alla Caixa, il colosso bancario catalano. Incarna l’immagine di un movimento di giovani con un curriculum brillante.
Da allora Ciutadans (nella sua versione in spagnolo “Ciudadanos, partido de la ciudadanía”) non ha fatto che crescere: all’inizio del 2013 aveva appena 2mila iscritti, oggi dispone di un numero di militanti 14 volte superiore, quasi 28mila. Alle ultime europee col 3,2 per cento, ha ottenuto 2 europarlamentari che siedono a Bruxelles tra le fila dell’Alde, il gruppo dei Liberal-Riformisti. Nelle amministrative di maggio il grande salto su scala nazionale.
Ma Ciudadanos è Albert Rivera. E lui è terribilmente bravo: il messaggio che vende sul partito arancione (Pantone 1585 C, per la precisione) è solido e credibile, qualsiasi proposta o posizione appare come ragionevole e sensata: “Le ideologie ci sono – dichiara in un’intervista – ma le etichette sono state diluite. Mi considero liberale, credo nell’economia di mercato, ma ho una sensibilità sociale perché difendo l’istruzione pubblica e voglio che gli anziani abbiano pensioni più alte”. Le sue posizioni, le definisce, “moderate”. Il suo libro preferito? Il fattore umano di John Carlin. Piace il suo stile di vita, umile e austero. Gira principalmente coi mezzi pubblici, senza scorta, patito di moto a volte raggiunge il Parlamento con la sua Yamaha 1000, tifosissimo del Barcellona ma crede nella filosofia di Diego Simeone, carismatico allenatore dell’Atletico Madrid: “Si deve lottare, partita dopo partita”. Piedi per terra, sempre concentrati e determinati. Anima e corpo alla politica. Albert vive in affitto a 800 euro al mese, divorziato, vede la figlia Daniela, 4 anni, una volta alla settimana. “So di rappresentare il nuovo – dice di sé con spavalderia – ma ciò non mi incute timore. Sono il garante di una rigenerazione e sono qui per migliorare la condizione della gente contro un capitalismo clientelare e corrotto”.
Nel suo programma, C’s si dichiara di “centro-sinistra”, il che è già quanto meno curioso, dato che Rivera, dal 2002 fino al 2006, militava fra i giovani del Partito Popolare. Non solo: in Catalogna Ciutadans, all’opposizione, si trovò a votare quasi sempre con il Pp, a cui, fra le altre cose, lo unisce l’anti-catalanismo. Nel 2012, in occasione della festa nazionale, il 12 ottobre, giorno della Hispanidad, festa molto malvista dai nazionalisti catalani, fondarono assieme una piattaforma “De España y catalanes” che inglobava anche molti movimenti di destra estrema in difesa della comune ispanità. Non è stato l’unico caso in cui militanti di estrema destra sono stati vicini a Ciutadans. Proprio nelle elezioni amministrative di maggio è successo agli arancioni quel che Pablo Iglesias temeva per Podemos: controllare migliaia e migliaia di liste per un partito appena nato era difficile e sul carro di C’s sono saliti, e si sono infiltrati, molti candidati impresentabili o, appunto, di estrema destra.
Non sono mancate altre espulsioni per accuse di xenofobia. All’inizio dell’anno: Francisco Gambarte ha rinunciato al suo posto di primo della lista per dirigere il Principato delle Asturie dopo aver insultato gli abitanti della Catalogna su twitter, mentre il coordinatore della sezione giovanile di Madrid, Carlos López Martín, è stato allontanato per aver offeso la comunità latina.
Questo non ha privato di credibilità gli arancioni, il partito auspicato dagli imprenditori spagnoli nel 2014, quando l’auge di Podemos si faceva minacciosa. Il consenso di C’s non si arresta e dopo essere arrivato secondo alle elezioni catalane di settembre con il 18 per cento (ma se i partiti che formano Junts pel Sì, la coalizione che ha vinto le elezioni con un programma indipendentista con quasi il 40 per cento, fossero andati da soli, probabilmente sarebbe il primo partito), sarà senz’altro l’ago della bilancia a Madrid dopo le elezioni del 20 dicembre.
Persino il caso di accusa di frode fiscale al suo deputato Jordi Cañas – per cui è stato costretto alle dimissioni, ora è consulente di un eurodeputato dello stesso partito – non ha scalfito la credibilità del partito “anti-corruzione”. La destra (che non si dichiara di destra) dalla faccia presentabile ha un programma economico liberista, non disdegna le privatizzazioni ed è contro le tasse patrimoniali o sulle eredità, difende le banche – ma critica gli strumenti finanziari meno trasparenti, come le Sicav – e propone sgravi fiscali per le imprese e contratto unico (benvisto dagli imprenditori), con eventuale reddito integrativo.
In campo sociale, a parole, è moderatamente progressista. Contrario alla legge sull’aborto, si è schierato contro la sanità agli immigrati senza permesso di soggiorno: “Così si fa in tutta Europa”. Come il Pp, non ha intenzione di riaprire alcun dibattito sulla memoria storica e sulla fase di Transizione in Spagna. Né quindi il desiderio di dissociarsi esplicitamente dal franchismo. Rivera è sufficientemente malleabile e intelligente da saper cambiare posizione per evitare quelle più controverse. Afferma tutto e il contrario di tutto, in una classica strategia populista è sempre alla ricerca disperata del consenso. Un esempio? Sul matrimonio gay, dapprima moderatamente avversato, e poi accettato (con tanto di mea culpa e voto in Catalogna nel 2014 a favore della legge contro l’omofobia più progressista del continente). Ultimamente ha difeso la prostituzione, considerandola una professione come altre, facendo suscitare un forte dibattito nel Paese, Ciudadanos ha pertanto prontamente accantonato l’idea. Stessa sorte toccata all’idea di legalizzare le droghe leggere. Di nessuna delle due c’è traccia nel programma del partito.
Pochi giorni fa, il twitter del partito ha lanciato l’hashtag #somoselnuevocentro: “Siamo il nuovo centro perché sono più i cittadini con voglia di cambiamento che quelli con paura”, ha scritto. Lo stesso Rivera sui social è seguitissimo e lui pare tenga a gestire personalmente i propri profili.
Nel febbraio 2014 è uscito il suo libro “Juntos Podemos”, subito dopo il debutto di Iglesias. Lo hanno accusato di copiare nome e idee. Si è difeso dicendo che il testo era precedente alla fondazione del partito. Alcuni punti programmatici sono effettivamente identici: maggiore trasparenza e lotta alla Casta, ai costi della politica e alla corruzione del sistema. Rivera – anche qui, a parole – è per una “transizione democratica” che deve passare, in primis, per una nuova legge elettorale, un piano nazionale sull’istruzione e la riforma della giustizia. Cita costantemente una frase di Victor Hugo: “Non c’è niente di più meraviglioso di un’idea che giunge al momento giusto”. Nei suoi discorsi, a volte, è spiazzante riuscendo a passare dalla difesa di quest’Europa e dell’austerity all’elogio di Pepe Mujica, ex presidente-guerrigliero dell’Uruguay. Scaltro, un demagogo con toni moderni. E non scomodo all’establishment che lo sta pompando oltre modo. Sta, di fatto, costruendo in Spagna una nuova destra, giovane e moderna, senza però mai citare la parola “destra”.
Perché votare gli arancioni alle prossime elezioni? Rivera, forte dei sondaggi e pompato dai media, risponde: “Innanzitutto perché non abbiamo mai governato e non siamo i responsabili di questa situazione, secondo perché ci sono partiti che si presentano come il nuovo ma promettono cose irrealizzabili”. I poteri forti hanno deciso su che cavallo puntare perché in Spagna il cambiamento sia soltanto nominale nel più classico “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Il sistema ha già scelto, il 20 dicembre toccherà agli spagnoli.