Sorpresa. Il ministro contro le extension del Pd

per mafalda conti
Autore originale del testo: Anna Lombroso
Fonte: Il Simplicissimus
Url fonte: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/10/06/sorpresa-il-ministro-contro-le-extension-del-pd/

di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 6 ottobre 2015

A volte le buone notizie sono così sorprendenti che uno resta stordito, sospetta   motivazioni opache dietro ad estemporanei sussulti di buon senso e di attenzione per l’interesse generale. Mi è successo quando il ministro dei Beni Culturali Franceschini – che periodicamente critico per le sue scelte, più o meno “libere”, in materia di impoverimento del sistema di vigilanza e tutela, per i criteri arbitrari di selezione del personale al vertice dei musei, per i silenzi colpevoli sullo Sblocca Italia e le sue ricadute su paesaggio, centri storici, beni comuni, per le sue “visioni” in materia di valorizzazione del Colosseo, per l’entusiasmo nei confronti della carità pelosa di improbabili mecenati – ha assunto una posizione ferma nei confronti della consegna irresponsabile di Venezia ai corsari delle crociere.

Può darsi dunque che, come a volte accade, la funzione pubblica, il ruolo istituzionale, orientino positivamente chi li esercita e gli impongano di rispettarne la dignità e le finalità di servizio. E anche se sarebbe preferibile che i rari no assumessero la forma di decreti, provvedimenti, misure, ci accontentiamo che il ministro, dispiacendo a tutta la platea degli Stati generali del turismo sostenibile a Portici, abbia bocciato la soluzione Canale Vittorio Emanuele, quella proposta dal sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro e che in Laguna ha messo d’accordo Lega Nord e Partito democratico, la capogruppo dem in Regione Alessandra Moretti e Paolo Costa, il potente e prepotente presidente dell’Autorità portuale, sottintendendo che la sua contrarietà non si limita al nuovo scavo, che minaccia il già precario equilibrio del sistema lagunare,  ma si estende al criminale passaggio delle navi da crociera in laguna.

“Il turismo delle grandi navi a Venezia ci andrà comunque, ha detto Franceschini, ma mi chiedo se non abbia più senso utilizzare come hub il Porto Vecchio di Trieste. Dobbiamo andare avanti anche a costo di scontentare qualcuno”.

E la lobby degli scontenti si è fatta subito sentire, dalla trombata fresca di parrucchiere, promoter locale del Partito Unico anche per via di promettenti andirivieni che hanno caratterizzato la sua carriera, per fortuna resistibile, al neo sindaco, comunicatore dinamico e coattivo che emula su scala territoriale i fasti del cavaliere,  che però ha lasciato scadere i termini per la presentazione delle linee programmatiche dell’azione della sua giunta, iperattivo e cinetico in annunci scandalosi, ma letargico nell’avviare interventi concreti – e forse è meglio così, dal governatore Zaia che si ricorda di Venezia solo quando c’è da mungere, al presidente della Venezia Terminal Passeggeri, Sandro Trevisanato, che rintuzza che i “turisti vogliono venire a Venezia e non a Trieste …. dove non c’è niente da vedere…”, come invece vorrebbero i soliti disfattisti, da Celentano a Italia Nostra, da anarchici insurrezionalisti  screanzati che cercano di ostacolare il legittimo sfiorare San Marco di condomini alti più di 60 metri quando in città l’altezza media delle case non oltrepassa i 15, dall’anima nera Paolo Costa, presidente dell’Autorità Portuale   (nonché ex sindaco ed ex ministro delle Infrastrutture) che a un tempo si preoccupa dell’interesse del suo ente, delle cordate amiche che circolano intorno al vero padrone della città, il Consorzio Venezia nuova, quello dell’eterna “ammuina”, scava e riempi, in modo da fare lo stesso con le tasche dei contribuenti e con quelle degli imprenditori,  e di quelli  dei pirati delle multinazionali delle crociere, e ai loro rappresentanti, gli unici a beneficiare davvero del quotidiano attentato alla città, insieme alle corporate dei viaggi, che invece l’economia diffusa di Venezia è solo penalizzata.

Si, perché i continui richiami di questa cupola alle ricadute negative per i profitti della collettività cittadina  che deriverebbero dalla doverosa sospensione del transito delle Grandi Navi, si fondano su accertate bugie, statistiche dei polli, equilibrismi normativi di quelli usati per  fare legge la corruzione e per corrompere le leggi, grazie a regimi speciali, licenze e concessioni straordinarie, deroghe e incarichi diretti.

A sostenerlo non sono incalliti misoneisti, fan della decrescita, gufi moralisti, conservatori snob che pretendono di essere gli unici a comprendere la vulnerabilità della bellezza e dunque gli unici autorizzati a goderne. Da anni perfino l’Università di Ca’ Foscari, della quale fu un tempo rettore proprio Paolo Costa, mette a confronto introiti e danni:   a dar retta ai  numeri dati dalla cupola delle crociere,  ammonterebbe  a  435 milioni di euro   l’indotto totale del brand:  288 per acquisto di beni e servizi localmente; 147 per carburanti e altro. Ma per il Professor Tattara dell’Università l’indotto si riduce a  270 milioni, che comunque   non compenserebbero   i costi ambientali per la città, i suoi abitanti e la sua laguna, e che presentano un bilancio di  ben più di 320 milioni, sotto le voci emissioni, rifiuti, rumore, dislocamento delle masse liquide, vibrazioni e onde radar.  Per non parlare del rischio di incidente: nel corso degli anni la «Mona Lisa» si è incagliata davanti Riva degli Schiavoni, la «Haci Emine Ana» è finita in avaria contro i cantieri del Mose a Malamocco, la «Celebrity Solstice» e la «Carnival Breeze» hanno rotto gli ormeggi in Marittima per il vento.

Per non parlare della pressione sulla città. Fu sempre Costa, è perfino grottesco ricordarlo, a effettuare  nel 1988 un “modello lineare”  attraverso il quale si sarebbe potuto stabilire il numero massimo di visitatori che la città poteva accogliere. Il risultato fu che Venezia era piena come un uovo con 20.750 turisti al giorno, accalcati nelle calli, davanti a Carpaccio, in fila a San Marco. Sono passati 27 anni, quei 20.750 turisti al giorno, 7,5 milioni l’anno, che allora sembravano troppi, sembrano un numero ridicolo rispetto alle odierne invasioni, sul cui volume Costa passato ad altre competenze non si esercita ma che nel 2011 contavano circa 30,38 milioni, circa 83 mila presenze giornaliere. Naturalmente sull’apporto a questi calcoli approssimativi dei croceristi poco si sa. Quando occorre accreditare il loro contributo ai profitti turistici della città allora si esalta il numero di turisti imbarcati a Venezia nel 2012, 1.775.944 unità. Quando invece è preferibile sottovalutare il tremendo impatto su un tessuto urbano così vulnerabile, allora i numeri scendono, i forzati delle crociere si muoverebbero in invisibile e ubbidienti cortei che ordinatamente vengono irreggimentati verso la nave senza colpo ferire. E anche senza comprare,  né consumare niente, come sospettano gli esercizi cittadini esclusi dai decantati profitti, che vanno invece a compagnie internazionali di tour operator. E c’è da creder loro se perfino i dati ufficiali parlano di un crocerista su 4 che compra la palla di vetro con la neve o la maschera prodotta a Taiwan, se a vederli i crocieristi che si fanno i selfie con le spalle a San Marco, si capisce che la vera voluttà è stare lassù, guardare dall’alto le formiche veneziane, provare, con l’illusione temporanea del lusso, il delirio di onnipotenza della Serenissima ai loro piedi.

Ma come dicono i corsari e i loro inservienti, tutti vogliono andare a Venezia. E tutti hanno diritto ad andarci: che è come dire che tutti i tifosi del mondo dovrebbero esigere di assistere alle partite dei mondiali nello stesso stadio, che tutti i fan di Vasco Rossi devono stare nella stessa arena nella stessa sera a sentire Albachiara. E che la città più speciale del mondo, che è anche la più fragile,  è condannata a morte per garantire un illusorio egualitarismo in tempi e luoghi di disuguaglianze sempre più feroci.

Però consoliamoci, sarà un’emozione nuove fare il tifo tutti nello stesso momento per un ministro, con l’augurio che abbia la forza di continuare a dire quella piccola parola caduta in disuso, no.

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