di Fausto Anderlini – 27 maggio 2018
Prima del 17 tutti i movimenti/partiti ‘socialisti’ avevano una base nazionale (basi sociali nazionali omogenee etnicamente e culturalmente e rivendicazioni nazionali) e se erano internazionalisti era più per il carattere ristretto (‘monoclasse) degli Stati nazionali che ne impedivano lo sviluppo che per l’universalismo transnazionale dell’idea egualitaria. Non per caso, con la nota votazione dei crediti di guerra in occasione della prima guerra mondiale quando già i partiti socialisti avevano oltrepassato in buona misura la soglia della legittimazione democratica nazionale, o erano in procinto di accedervi, l’internazionalismo socialista si sciolse come neve al sole
Dopo il 17 il comunismo, espressione del superamento della crisi e dell’ambiguità dei socialismi nazionali, si afferma secondo una nuova forma: quella imperiale. Il ritorno ai postulati originari dell’internazionalismo proletario tradito dai socialismi nazionali è la cornice ideologica, ma il dato di fatto è che la rivoluzione vince in Russia, che non è una nazione ma un impero plurinazionale. E il comunismo finisce per aderire alla forma-impero, seppure assai più coesa e centralizzata di qualsiasi forma precedentemente conosciuta. Il movimento comunista è infatti double face: il socialismo in un solo paese, esperienza capace di neutralizzare le forze disgreganti dell’impero zarista, ma anche un impero a base ideologica con caratteri ecumenici tessuto con la terza internazionale attorno all’URSS. Se ogni partito comunista, sezione distaccata dell’Internazionale, persegue l’interesse nazionale è per sottrarsi al condizionamento delle nazioni-impero decadenti (Francia-Inghilterra) e di quella emergente su scala globale (gli Usa), In questo modo, proprio perchè ha una intrinseca forma imperiale, il comunismo riesce ad aderire meglio di ogni altro alle lotte di liberazione nazionale. Toccando l’apice nella fase della decolonizzazione.
Crollato l’impero il socialismo è morto in ogni dove, o si è rinchiuso in forme ibride rigorosamente locali: In Europa non è riuscito ad andare oltre una lasca federazione familiare di ffratellastri, ben lungi dal darsi come un soggetto politico unitario, La forma imperiale-finanziaria ha preso il sopravvento. Ed è la destra in formato ‘populista’ e neo-qualunquista, ostile al cosmopolitismo del capitalismo finanziario e sostenuta dai settori economici legati al mercato locale, che ha preso la difesa di nazioni gravemente indebolite nei loro poteri sovrani. All’insegna di una sorta di paradossale nazional-liberismo-socialismo che ha caratteri aggressivi all’interno, ma eminentemente difensivi all’esterno. Un neo-nazionalismo periferico, interclassista ed isolazionista che ha preso il posto dei passati regionalismi reattivi alla forma nazionale in progress..I quali ultimi, quando persistono, come in Scozia e Catalogna, si professano pan-europei solo in quanto hanno quel che resta del centro nazionale come il loro nemico.
Se la sinistra, qui da noi, vuol tornare ad esistere dovrebbe definire la sua collocazione rispetto al nuovo quadro. Perchè il cleavage fra nazionalismo/cosmopolitismo, sovranismo/techno-finanza, centro/periferie, non è propaganda. O una forza si definisce rispetto alla frattura storica fondamentale o non esiste. E ogni valore proclamato è solo un vuoto appello retorico.