Siria – Conflitto, Diplomazia e Prospettive di Pace secondo Talal Khrais
Maddalena Celano (Assadakah News) – Introduzione: Talal Khrais è un giornalista italo-libanese con una vasta esperienza nelle aree di conflitto del Medio Oriente. Laureato in scienze politiche, ha iniziato la sua carriera come corrispondente per diverse testate internazionali, specializzandosi in reportage da zone di guerra. Ha vissuto in Siria dal 2011 al 2018, documentando la guerra civile siriana e le tensioni regionali. Oltre a questa carriera, è anche cofondatore dell’associazione Assadakah, un’iniziativa volta a promuovere il dialogo tra l’Italia e il mondo arabo, attraverso il sito di notizie omonimo, attivo dal 1994. Con una conoscenza approfondita della regione, Khrais è una voce autorevole quando si parla degli sviluppi in Siria e delle complesse dinamiche geopolitiche che coinvolgono il Medio Oriente.
Intervista:
- Talal, quali sono le attuali dinamiche in Siria e come valuti la situazione negli ultimi mesi?
La situazione in Siria è molto difficile. Dopo la rivolta popolare del 2011, che inizialmente aveva l’obiettivo di ottenere delle riforme politiche, il paese è stato coinvolto in un conflitto armato che ha visto l’arrivo di jihadisti e l’intervento di potenze regionali e internazionali. Nel 2017, con l’aiuto di Russia, Hezbollah e Iran, la Siria è riuscita a riprendere il controllo di gran parte del territorio, ad eccezione di alcune aree come Idlib, parte di Aleppo, le zone occupate dai curdi e quelle sotto controllo degli Stati Uniti. Tuttavia, la situazione resta precaria, con circa 12 milioni di rifugiati e continue tensioni geopolitiche. La rivolta inizialmente chiedeva riforme politiche, ma il regime non ha risposto positivamente. Dopo l’impossibilità di ottenere cambiamenti, la protesta si è trasformata in una lotta armata. Questo ha creato lo spazio per l’ingresso dei jihadisti che, alla fine, sono riusciti a occupare gran parte del territorio. Solo grazie al supporto di potenze come Russia, Hezbollah e Iran, la Siria è riuscita a riprendersi gran parte delle sue città e a tornare ad uno stato di pseudo-normalità. La sfida tuttavia resta grande, soprattutto per il fatto che le potenze straniere e i gruppi locali continuano a lottare per il controllo del paese. La situazione in Siria attualmente è molto complessa, soprattutto con il ritorno delle tensioni nel nord, a Tal Rifaat, e le incursioni israeliane che colpiscono le postazioni iraniane e di Hezbollah. Israele ha intensificato gli attacchi, e la gente a Damasco è molto preoccupata, sentendo che ogni escalation potrebbe portare a una nuova fase della guerra. È importante notare che, nonostante la paura, non vedo segnali evidenti di un imminente colpo di stato. La situazione potrebbe evolvere ulteriormente, specialmente se Israele dovesse colpire direttamente le forze di Assad. Inoltre, c’è un crescente dialogo diplomatico tra potenze come gli Stati Uniti, la Francia e Israele, ma le difficoltà interne della Siria e le divisioni tra le forze che sostengono il governo di Assad complicano notevolmente ogni tentativo di risoluzione.
- Quali sono le principali sfide che la Siria deve affrontare in questo periodo? Forse la relazione con la Turchia?
Sì, i rapporti tra Siria e Turchia sono migliorati, principalmente grazie alla mediazione di Russia e Iran. Erdogan ha proposto un accordo con Assad: la Turchia avrebbe ritirato le forze jihadiste che controllano il nord della Siria e le avrebbe spostate verso le zone curde, mentre la Siria avrebbe mandato il suo esercito a Idlib, al fine di riprendere il controllo del nord-ovest. Tuttavia, la risposta siriana è stata chiara: prima la Turchia deve ritirare tutte le sue forze dalla Siria, senza lasciare alcuna influenza turca sul territorio. Questo ha suscitato irritazione in Erdogan, che giustifica la presenza turca con la necessità di contrastare il terrorismo curdo. La Russia ha cercato di limitare la presenza di Hezbollah e Iran in Siria, poiché non vede di buon occhio una presenza militare che possa contrastare la sua influenza. Negli ultimi mesi, Israele ha intensificato gli attacchi alle postazioni iraniane e di Hezbollah in Siria. Inoltre, Hezbollah ha dovuto spostare alcune delle sue forze dal nord della Siria verso il Libano, in risposta alla guerra a Gaza. La situazione è quindi diventata ancora più complessa, con il ruolo dell’Iran e di Hezbollah che si riduce progressivamente. Le forze di opposizione, tra cui i gruppi come l’Hayat Tahrir al-Sham, sono diventate più forti a causa della debolezza dell’esercito siriano. La ritirata di Hezbollah e dell’Iran dalle aree chiave ha dato alle forze jihadiste l’opportunità di avanzare, come abbiamo visto a Hama e Aleppo. L’esercito siriano è numericamente e materialmente debole, e la Turchia ha utilizzato i suoi alleati jihadisti per creare una sorta di esercito parallelo che può facilmente avanzare in queste aree. La Siria sta affrontando una serie di sfide. Innanzitutto, la guerra ha lasciato il paese in condizioni di grande difficoltà, con circa 12 milioni di siriani che sono fuggiti. Questo ha creato enormi problemi anche nei paesi vicini, come il Libano e la Turchia, dove milioni di rifugiati siriani sono accolti, mettendo a dura prova le economie locali. La seconda grande sfida è la gestione delle forze esterne che operano nel paese, in particolare l’influenza di Iran, Hezbollah, Turchia e Russia. La Siria si trova in una posizione delicata, con tentativi di normalizzazione dei rapporti tra il governo di Assad e la Turchia che potrebbero portare a una soluzione diplomatica. Tuttavia, il ritorno di un milione e mezzo di siriani, come proposto dalla Turchia, richiede un lungo processo di stabilizzazione, che potrebbe durare anni.
- Cosa ne pensi dell’idea di normalizzare i rapporti tra Siria e Turchia? Potrebbe essere la chiave per una soluzione pacifica?
Il dialogo tra Siria e Turchia è fondamentale per una soluzione duratura. La proposta turca di ritirare le truppe jihadiste e permettere a Assad di riprendersi le zone di Idlib in cambio della ritirata delle forze turche è interessante, ma comporta difficoltà. Assad vuole che le forze turche lascino il paese completamente, prima di prendere in considerazione qualsiasi accordo. Tuttavia, con il miglioramento dei rapporti tra Turchia, Russia, Iran e Siria, esistono ora maggiori opportunità per una soluzione diplomatica, che potrebbe stabilizzare le regioni più colpite dal conflitto. Ma il cammino è lungo e difficile.
- Parlando delle forze di opposizione, quali sono le principali sfide che la Siria sta affrontando riguardo alla situazione sul campo?
Le forze di opposizione, tra cui i gruppi come l’Hayat Tahrir al-Sham, sono diventate più forti a causa della debolezza dell’esercito siriano. La ritirata di Hezbollah e dell’Iran dalle aree chiave ha dato alle forze jihadiste l’opportunità di avanzare, come abbiamo visto a Hama e Aleppo. L’esercito siriano è numericamente e materialmente debole, e la Turchia ha utilizzato i suoi alleati jihadisti per creare una sorta di esercito parallelo che può facilmente avanzare in queste aree.
- Cosa pensi dovrebbe accadere per risolvere la situazione attuale? C’è una via diplomatica possibile?
Credo che la soluzione migliore sia quella di riprendere il dialogo tra Siria, Turchia, Iran e Russia. La diplomazia è l’unica via percorribile per evitare una nuova offensiva militare che sarebbe molto costosa per la popolazione e creerebbe nuovi rifugiati. Un possibile accordo dovrebbe includere il ritiro completo delle forze turche dalla Siria, con la promessa che la Siria riprenderà il controllo delle sue terre. Solo con il dialogo e il coinvolgimento di tutti gli attori regionali, è possibile pensare a una soluzione pacifica e alla fine del conflitto.
- La Turchia ha recentemente fatto una proposta per risolvere il conflitto. Puoi raccontarci di più su questa offerta?
La Turchia ha proposto una soluzione basata su negoziati diretti tra il governo siriano e le forze di opposizione, con l’impegno a fissare un calendario per il ritiro delle forze turche. Inoltre, ha offerto il suo supporto per la ricostruzione di Aleppo, proponendo di renderla una zona industriale e commerciale, se il regime siriano accettasse di consentire agli imprenditori siriani di tornare. La proposta prevede anche misure di sicurezza per le zone curde, per evitare che minaccino la sicurezza turca. Questo è un tentativo significativo di normalizzazione delle relazioni, ma ovviamente, ci sono molte difficoltà da superare prima che possa essere realizzato.
- Come valuti l’operato di Hezbollah e dell’Iran nella regione? Quali sono le loro motivazioni?
Hezbollah e l’Iran hanno giocato un ruolo cruciale nel sostenere il regime siriano durante la guerra civile. La loro presenza ha contribuito a mantenere il regime di Assad in vita, soprattutto contro l’avanzata dei gruppi jihadisti e delle forze di opposizione. Tuttavia, la situazione è cambiata negli ultimi tempi, soprattutto con la crescente pressione israeliana. Nonostante i successi iniziali, l’Iran ha visto una riduzione della sua influenza in alcune aree della Siria, soprattutto sotto la spinta di Israele. Hezbollah, che è stato coinvolto anche nelle operazioni in Libano e nella guerra a Gaza, ha dovuto spostare le proprie risorse per affrontare i conflitti anche su altri fronti, riducendo la sua capacità di proteggere alcune aree strategiche in Siria.
- Qual è il futuro della Siria? Ci sono possibilità di una soluzione pacifica nel breve termine?
Il futuro della Siria dipende dalla capacità di negoziare e risolvere le differenze interne e internazionali. La situazione potrebbe migliorare se venisse avviato un serio processo di riconciliazione tra le fazioni interne, e se i principali attori internazionali – come gli Stati Uniti, la Russia e la Turchia – riuscissero a trovare un terreno comune. Tuttavia, la situazione resta molto instabile, e ogni tentativo di risolvere le tensioni comporta enormi sacrifici per la popolazione. La via diplomatica è preferibile, ma richiede tempo e molta pazienza, soprattutto in un contesto dove gli interessi strategici dei vari attori esterni continuano a entrare in conflitto. Nonostante i numerosi attori internazionali coinvolti e le difficoltà interne, la diplomazia rimane la via più promettente per il futuro della Siria.