di Alfredo Morganti – 25 giugno 2015
Secondo molti l’Italicum avrebbe dovuto garantire la governabilità. Si diceva: c’è un Paese spaccato in tre (PD, FI, 5Stelle) e col proporzionale si va di sicuro a cadere nelle larghe intese. E invece col ballottaggio e con la vocazione maggioritaria del PD la vittoria del centro sinistra sarebbe cosa fatta. Poi si scopre una verità imbarazzante, ossia che il Movimento 5 Stelle nel caso di premio alla lista (come certi intelligentoni hanno preteso) andrebbe sicuramente a ballottaggio (con ottime probabilità di vittoria peraltro, viste le elezioni amministrative recenti). Andatevi a vedere, a conferma, gli ultimi sondaggi, che pongono il partito di Grillo sempre e stabilmente in seconda posizione. In alternativa il centro destra ( FI + Lega Nord) dovrebbe fare un ‘listone’, con tutte le difficoltà del caso visto che Salvini non sembra molto disposto ad acconciarsi quale figurante di Berlusconi. Nel caso di ‘listone’, ovviamente, il blocco di destra diverrebbe effettivamente competitivo.
Se il premio andasse invece alle coalizioni, Grillo forse sarebbe fuori gioco e fuori da ogni ballottaggio. D’Alimonte ha già accennato all’ ‘errore’ (suo e di Renzi) di puntare sul premio di lista, nonché al desiderio attuale di Berlusconi di tornare alle coalizioni. Ovviamente, ciò renderebbe molto competitivo il centrodestra, che avrebbe ottime possibilità di andare a ballottaggio con solide chance di vittoria finale. Ovviamente anche il PD, a quel punto, dovrebbe cercare ‘alleanze’, ma si è talmente sbeffeggiata questa parola e si è talmente puntato sulla ‘vocazione maggioritaria’ (con un certo grado di arroganza di partito e personale del leader) che trovare alleati per i democratici renziani sarebbe davvero un’impresa disperata. In ogni caso, la ricerca di alleanze a 360° (nel caso si voglia battere il grillino o la destra) può considerarsi, di fatto, una larga intesa a priori e preistituzionale, simile in tutto e per tutto alle larghe intese a posteriori e pienamente istituzionali.
Che fare, allora? Io direi di raccomandarsi a qualche santo in paradiso. Ma con la convinzione, stavolta, che non è il sistema elettorale che fa la governabilità, piuttosto il contrario. E soprattutto che il PD non si porta da casa nulla, tanto meno una vittoria elettorale con un sistema che ha già spaccato il partito ed è debole e sconclusionato, tant’è che lo hanno già modificato e lo vorrebbero modificare ancora. I sondaggi dicono, peraltro, che in media, rispetto al giugno scorso, il PD avrebbe già perduto7-8 punti percentuali, non pochi. Non è l’aria per andare in paradiso, insomma. Pian piano la realtà sta tirando il conto agli annunci e alle smargiassate. Anche se, debbo dire, non bisognerebbe confidare troppo sul Generale ‘Realtà’. La politica non è fatta di attese, non è inazione, non è come il cinese che aspetta sul rivo del fiume che transiti il cadavere del nemico, secondo proverbio.
La politica è azione, iniziativa, proposta, non può contentarsi di uno stato di passività. Forse, in questi mesi, era il caso di resistere meno e insistere di più. Le frasi roboanti, a cui segue il solito voto di fiducia, creano un effetto comunicativo e politico deteriore. Alimentano aspettative che decadono fragorosamente. Mortificano i soggetti sociali e il popolo di riferimento, che si attendono invece una rappresentanza attiva. Ora non credo che il ‘riformismo’ possa ridursi a un continuo timore di svellere le compatibilità oppure a un atteggiamento di cupa rabbia interiore cui si accompagna l’autodisciplina ferrea. C’è una critica da fare, invece, e non a Renzi, ma al sistema sociale ed economico contro il quale si scaglia sempre più vigorosamente persino il Papa. Un sistema di cui Renzi è una specie di vestale. E, con la critica, si tratta di avanzare una proposta di governo, seria, profonda che punti a cambiare l’agenda di questi anni. Si può fare? Ci si può provare? E allora lo si faccia, come sta già facendo Stefano Fassina. Fuori o dentro conta poco, direi, nel casino attuale. Ma sarebbe meglio fuori.