Sinistra, giocarsi la partita, prima di fare un partito

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Riccardo Achilli

di Riccardo Achilli – 13 maggio 2018

GIOCARSI LA PARTITA, PRIMA DI FARE UN PARTITO. Ho letto diffusamente i resoconti dell’iniziativa di Mdp di ieri. Mi sono sembrati, a dirla tutta, una produzione di fumo per mezzo di fumo. Nella genericità fuffosa, spiccano pochi elementi concreti, alcuni moderatamente positivi, altri francamente non condivisibili. Fra i primi, i vari interventi focalizzano la necessità di capire una fase sociale e politica completamente nuova, da reinterpretare con strumenti analitici nuovi, e con un linguaggio diverso. Mi è piaciuto il riferimento di D’Attorre al bipolarismo di classe, può essere una chiave di lettura interessante. Non c’è dubbio che la sinistra abbia sbagliato clamorosamente la lettura della società negli ultimi vent’anni, per cui è necessario che si torni a fare analisi.
Il resto, francamente, andrebbe buttato via. La fretta indemoniata di fare un partito unitario non serve a niente ed a nessuno, se non alle angustie finanziarie di Mdp, che si trova nella fastidiosa posizione di non poter ricevere il due per mille, ed anzi di dover restituire anche dei soldi. Facessero una colletta fra di loro e si risolvessero il problema finanziario, ma un partito si costruisce attorno ad una rappresentanza di classe definita, una idea strategica ed una ideologia, ed un concetto organizzativo. Tutte cose che richiedono, per l’appunto, una analisi sociale ed un riposizionamento politico. E credo anche una nuova classe dirigente. Ci sono personaggi che non sono più credibili. Senza voler fare nomi e cognomi, è straordinariamente irritante sentirsi fare lezioncine di socialismo e di lotta fra capitale e lavoro da parte di chi ha fatto una riforma sanitaria al ribasso.
Così come il rapporto con il Pd, vero e proprio tema centrale ossessivo degli mpiddini, non ha proprio alcun senso adesso, soprattutto per chi vorrebbe un nuovo partito. Adesso ci dovrebbe essere la fase di consolidamento di un nuovo soggetto politico, quindi una fase di autonomia politica e culturale, solo dopo si dovrebbe decidere con chi interloquire. Altrimenti si rimane dentro una concezione subordinata e limitata dell’azione politica, che non aiuta a cogliere i grandi cambiamenti in atto nella società.
Detto in termini più semplici, se l’asse del conflitto sociale e politico si sposta lungo la linea fra sistemici ed antisistemici, in una società sempre più polarizzata, in cui l’ampio ceto medio indifferenziato pre-crisi sprofonda verso la povertà e nuove forme di alienazione, categorie come il centrosinistra non servono più a niente. Non c’è più l’area centrale benestante e riflessiva degli anni Novanta, in grado di sostenere una proposta che media fra liberismo e solidarismo. Quel mondo è morto. E le formule politiche che gli davano espressione sono anch’esse defunte. Il rapporto con il Pd, al momento, non è un tema. Se non per chi vuole rimanerci agganciato per motivi opportunistici. Perché in fondo non pensa ad una sinistra autonoma, ma solo ad una appendice di posizioni politiche personali.
In conclusione, personalmente non penso ci siano le condizioni, adesso, per celebrare un congresso unitario delle tre componenti di LeU finalizzato ad un partito unico. Abbiamo ancora troppo da capire della fase attuale per poterci permettere di affermare che lo strumento necessario sia il partito di sinistra unico, escludente rispetto al movimentismo alla sua sinistra, e legato ad una linea di apertura al dialogo, che possa convertirsi in alleanza strategica, con il Pd.
Meglio lasciare le cose come sono, e lavorare su una nuova comprensione, un nuovo linguaggio e nuovi gruppi dirigenti, insieme ad un’opera di ritessitura con i territori.

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