di Alfredo Morganti – 8 novembre 2016
C’è poco da dire e c’è poco da fare. Il voto ‘Sì’, presentato via via come innovazione, cambiamento, svolta è in realtà una scelta da conservatori. Lo si intuisce da come vota la classe dirigente, quasi tutta schierata per il Sì, e che, anche quando non si pronuncia direttamente, lascia intuire come la scelta del ‘No’ impedirebbe di rimettere in moto un Paese ‘fermo’. La spinta generale delle élite (di sinistra, soprattutto) è tutta verso la retorica del ‘cambiamento’. Anche quando si afferma che la riforma è una puttanata, o è una schifezza, si dice comunque di votare ‘Sì’. È la spia di come il senso generale di chi ci dirige sia verso il mainstream renziano, per il quale ‘la sinistra ha perso, ora fatevi da parte e lasciate provare noi’. Ma che voto di innovazione è quello sostenuto quasi in toto dalla classe dirigente, ossia dai conservatori sociali più conservatori, da chi ha un grande interesse che nulla si modifichi, che gli assetti della piramide sociale non si tocchino, che i privilegi (viaggi, consumi, raffinatezze) restino, che delle minoranze apicali continuino a tenere a bada il complesso della società a partire dai settori di massima sofferenza? Non ce l’ho con le élite in sé, si badi, ma con la loro funzione conservatrice, con il fatto che non si mettano al servizio della nazione, ma della loro consolidata condizione sociale. Seguendo il mainstream.
Mi ha colpito molto il voto ‘Sì’ di Elle Kappa. Ossia di chi fa satira di mestiere, e dovrebbe farci ridere graffiando il potere e la sua boria. In un’intervista si riferisce alla bicamerale, ed è la solita tiritera: trent’anni fa volevate le riforme, oggi le ripudiate per mere ragioni politiche o personali. La vecchia solfa di chi non ha il coraggio delle proprie scelte e può solo rinfacciare quelle altrui. Posso dire la mia? A me della bicamerale frega quanto basta. Era il 1997, sono passati decenni e c’erano ancora la lira’, direbbe Renzi, e la scheda telefonica. Il mondo era un tantino diverso, le politiche neoliberali erano vincenti, e la sinistra era schierata quasi tutta da quella parte (clintoniana, blairiana). Oggi viviamo in un altro mondo, non so se Elle Kappa se ne fosse accorta. La curva dello sviluppo è in discesa, le disuguaglianze crescono, le oligarchie sono più forti, i posti di lavoro non si creano granché nemmeno se getti nel calderone miliardi di euro di sgravi, i consumi non crescono considerevolmente nemmeno se regali bonus fortemente iniqui. Ci sono interi settori sociali alla disperata ricerca di un futuro anche di seconda mano, se non addirittura di un presente. La globalizzazione di cui allora si vedeva il lato chiaro, oggi si distende minacciosa con il suo lato oscuro. Fa vittime, affama anche culturalmente, toglie speranze. La sinistra liberal, che non ha colto nulla di questo movimento, oggi ha perso ogni contatto con la realtà, si è ridotta a élite ‘comunicativa’, a cervelli in fuga, a cosmopolitismo, si è rinserrata nel proprio castello di buone letture, gadget elettronici e vaghi piaceri.
Nei giorni scorsi una buona fetta di costoro era rinserrata (è il caso dire) alla Leopolda a urlare ‘fuori fuori’ come allo stadio, che non era un’esortazione a loro stessi, e non voleva dire ‘usciamo a vedere il mondo com’è fatto nelle sue sacche di sofferenza’, no. ‘Fuori fuori’ voleva dire: cacciamoli via, buttiamoli giù dal vertice. ‘Rottamare’ vuol dire: cessino di essere classe dirigente, non lo meritano, liberino i loro posti per noi. Ecco il punto. Quelli che gridano ‘cambiamento’ sono quelli che non hanno alcuna intenzione di cambiare, se non a proprio vantaggio. Racconta Alessandro Portelli sul ‘manifesto’ che quando hanno scioperato i minatori del Kentucky, nella tv USA sono stati costretti a mettere una mappa per far capire a tutti dove si trovassero le miniere. Per la sinistra liberal i perdenti della globalizzazione sono alieni, rozzi, persino antropologicamente diversi – la destra li sta invece lusingando con razzismo e populismo. Da noi è uguale. Quelli della Leopolda sono una congrega di cosmopoliti che parlano inglese e godono delle loro raffinatezze intellettuali. Da lì, da quella barriera di chiacchiere orchestrate non si vede il mondo attorno. I nomi dei perdenti non li conoscono, non contano. Coltivano relazioni, si mostrano al capo e intonano cori. Votano Sì per convenienza sociale, secondo il mainstream. Vogliono il potere, lo annusano, lo coltivano, sono pronti a salire sulla nave. Per evitare che il populismo, la demagogia, le chiacchiere si portino via il nostro dolore, le nostre sofferenze, i patimenti sociali, serve invece un’altra sinistra, con occhi e orecchie spalancati sulla parte di mondo e di Paese che sta in fila e oggi occupa l’ultimo posto. Un’altra sinistra che ancora non vedo, e chissà se verrà. Intanto bisogna votare No per fermarli. Non c’ è scampo.