Fonte: globalist
Si chiamava Sacko Soumaila, aveva 29 anni, era regolare in Italia (come gli altri due uomini insieme a lui) ed era originario del Mali. Era un sindacalista delle Unioni sindacali di base (Usb) ed era sempre in prima linea per difendere i diritti dei lavoratori immigrati di Gioia Tauro, sfruttani e costretti a vivere nelle baraccopoli tenute su da pezzi di lamiere.
Ed era proprio la lamiera quella che Soumali stava andando a prendere, non rubare, perché quella zona è una discarica a cielo aperto dove i rifiuti sono abbandonati senza nessuna proprietà.
L’uomo che, secondo le testimonianze dei due sopravvissuti, è arrivato in una macchina e ha sparato loro contro con un fucile, non aveva alcun diritto di proprietà su quelle lamiere che servivano ai tre uomini per rinforzare le baracche.
Colpito alla testa, Soumali è morto in ospedale e ora gli investigatori stanno cercando di capire chi sia il colpevole. Tra l’altro, il capannone dove si è consumata la tragedia è ben noto alle forze dell’ordine, dato che era stato sequestrato una decina di anni fa nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia e condotta dalla Guardia di finanza sullo smaltimento e lo stoccaggio di rifiuti industriali tossici e pericolosi tra Calabria, Puglia e Sicilia. Secondo l’accusa, nei terreni della società “Fornace tranquilla”, a San Calogero, sarebbero stati stoccati oltre 135 mila tonnellate di rifiuti pericolosi e tossici tra i quali fanghi altamente inquinanti di derivazione industriale composti da alte percentuali di nichel e vanadio. In seguito alle indagini, già da luglio 2010, il Prefetto di Vibo Valentia aveva imposto la distruzione dei prodotti agricoli coltivati nelle vicinanze dell’area interessata.