Show must go on: Il gioco deve continuare. Sul corpo di Mihajlovic. Ma io, che allora non mi unii al coro, retorico adesso sto con Sinisa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Show must go on
Fisico depauperato, andatura timida, volto piccolo incassato sotto una grande cuffia e confinato da una barba breve che sembra incolta, una voce bassa, rauca e rassegnata. Se ne sta rannicchiato in panchina e pare osservare la partita con occhi minuti, quasi puntiformi, nascosti in un bunker. In realtà retroflessi, persi nel vuoto. Sospesi su un abisso. Talvolta si alza e dispensa consigli al giocatore nei paraggi come in un intimo conciliabolo per poi tornare lentamente dimesso e compunto al suo posto.
Al primo assalto della malattia la sua reazione fu rabbiosa, sprezzante, eroica, in linea col carattere spavaldo. La gente era compatita quanto ammirata. Seguiva la vicenda come un film e i politici non perdevano occasione per celebrare il guerriero indomito facendosi pubblicità col suo coraggio. I tifosi salirono in processione a San Luca, i talk show se lo contendevano, il pubblico negli stadi lo applaudiva e gli arbitri avevano un occhio di riguardo.
L’intero mondo del calcio s’era immedesimato nella sua lotta in un abbraccio terapeutico di umani sentimenti. La squadra, diretta a distanza, anche dal letto d’ospedale, sentì la spinta e fece anche buone cose.
Miracolosamente guarito Mchajlovic tornò ad essere sé stesso, sebbene con qualche dubbio tenuto nascosto.
Ma il secondo assalto è stato pesante come nulla di più. Una mazzata i cui segni nel corpo e nella psiche sono pesanti. E la gente non sembra interessata al sequel. Piuttosto un fastidio, come capita nella lunga degenza di un anziano. C’è perfino chi maramaldeggia sui social. Intanto Mihajlovic è altrove. Si sforza nell’applicarsi al mestiere con stoico raziocinio, ma la sua mente è persa in altro luogo. Nel dopopartita lo confessa lui stesso con aria rassegnata. Non sa dire perchè la squadra invece di alzarsi si abbassa e subisce, non sa darsi spiegazione perché promesse come Barrow e Orsolini sembrano diventati brocchi inguardabili e certezze come Soriano siano periclitate nella goffaggine. Non sa dire se i nuovi arrivati dal mercato siano migliori dei partiti. La matassa s’è aggrovigliata. Il condottiero ha perso il bandolo e la squadra soffre d’apatia. Sempre al di sotto di quel che potrebbe dare, che forse non è neppure tanto. Ha la iella incorporata e se per caso è baciata da un colpo di culo, come a Roma con la Lazio, subito s’industria per compensarlo con il doppio di sfiga. Salvo Medel. Che ringhia a prescindere, e Arnautovich, che però ha sangue serbo come Sinisa. Al posto del cuore un martello, il cervello protetto dalla segatura.
Il ruolo del coach è il più adrenalinico e catartico. Tecnico e sciamanico insieme. Trasmette energia, incutendo timore come sprone e rassicurazione. E’ il principe di Machiavelli. Stratega infallibile e fine psicologo. In panchina spesso si agita come un dannato e le sue decisioni sono fulminanti come sinapsi. Lettura razionale della partita e intuito immediato.
Michailovich è spento. Come capita agli allenatori ormai usciti dal gioco e col contratto in scadenza. Ma non è questo il suo problema. Con ogni evidenza è preda della depressione. Si vede a occhio nudo e si avverte la fatale melancolia. Chiuso nel suo bunker, credo di immaginare cosa gli passi per la mente. E chiunque ha vissuto la depressione, anche lieve, lo sa. Il gioco che si svolge davanti a lui e che è tutta la sua vita visto da una prospettiva interiore inaudita. Lo scorrere della vita come in uno schermo, la sua vita. Tutto evaporato nel nulla, nell’insensatezza, mentre il pensiero è fisso sulla morte.
Può una squadra fare di necessità virtù come già avvenne al primo assalto ? Trasformare la melanconia in una metafisica della lotta, l’atarassia in indifferenza alla fatica, aderendo al destino sino al punto di rovesciarlo, cercare un nirvana, un nulla capace di renderla invincibile. Cioè aderire sino alle estreme conseguenze allo spirito assente di Sinisa. Questa sarebbe una via. Un non importa continuiamo trasferito dalla politica al calcio. Un paradosso estremo nel mondo del business.
Sicchè la società è in imbarazzo. Deve buttare alle ortiche tutto il compiaciuto spirito missionario messo in mostra al primo assalto e licenziare Sinisa. Si morde le mani per non averlo assecondato quando guarito non aveva nascosto qualche pensiero ad accasarsi altrove. Gli affari sono affari e la classifica langue. Il cinismo è d’obbligo e coincide con il senso responsabile della razionalità. Licenziare un uomo ammalato per inefficienza. Meschinità inaudita. Il gioco deve continuare. Sul corpo di Mihajlovic. Anche questa è malinconia, sebbene sporca. Filosofia pratica.
Ma io, che allora non mi unii al coro, retorico adesso starei con Sinisa. Nel vero momento del bisogno. Fino al termine della notte. Anche costasse una retrocessione in serie b.
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1 commento

Paolo Tarsis 8 Settembre 2022 - 16:18

Questo articolo è tutta retorica….Mihailovic è in cura e tutti sanno quanto sono debilitanti certe cure. E’ ovvio che il paziente appaia stanco e demotivato. Poi il discorso sportivo è un’altra cosa: se la squadra non funziona di solito si prova a cambiare allenatore. Malato o sano che sia. Avrebbero dovuto tenerlo perchè malato? Mah mi sembra una cosa illogica e immotivata.

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