Fonte: Ravenna in Comune
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L’opinione pubblica sta discutendo molto di come e quando far ripartire la scuola, soprattutto grazie alla pressione dei genitori che non sanno a chi affidare le figlie e i figli più piccoli ora che sono tornati al lavoro. La questione però si è concentrata sul servizio, cioè sull’affidamento delle bambine e dei bambini e poco sull’educazione e sui danni prodotti dalla pandemia. Quasi nulla è stato detto sull’università, come se la didattica a distanza non presentasse alcuna problematica. Avendo insegnato in diverse scuole della regione, ho deciso di contattare studenti che provengono da zone distanti e compiono studi umanistici o scientifici, lo scopo era avere opinioni e sensibilità diverse che potessero essere significative. Abbiamo intervistato Natascia Sampaoli che frequenta il secondo anno di Antropologia a Bologna, Silvia Scarpellini, primo anno di Filosofia a Bologna, Eleonora Fabbri, primo anno di Psicologia a Urbino, Emanuel Forciniti, terzo anno di Biotecnologie a Bologna, Matteo Tagliazucchi, terzo anno di Fisica a Bologna.
Come si sono organizzati i dipartimenti per affrontare la didattica a distanza?
Natascia: Inizialmente male perché mancavano i libri e non era possibile trovarli. I testi degli esami non era possibile reperirli per tutti con la chiusura. Molti docenti hanno cominciato a caricare i testi in pdf, ma studiare sul pc non è l’ideale e quindi ho dovuto stampare libri interi, nuovamente una cosa che non era semplice né possibile per tutti. Poi sono iniziate le lezioni e nessuno era preparato per utilizzare le piattaforme, gli avvisi arrivavano un giorno per l’altro. Pian piano i docenti si sono adattati, ma la mia motivazione (e anche quella di altri) è calata perché passare ore ad ascoltare su uno schermo è completamente diverso rispetto a stare in aula. Posso però dire che ci sono diversi modi di affrontare l’emergenza e di aver visto due metodologie diverse: in un corso l’approccio era tradizionale, come fossimo in dipartimento nell’altro invece puntava su una forma dialogica, introducendo temi e problemi e invitandoci ad interagire.
Matteo: Unibo adopera la piattaforma teams di Microsoft che non presenta molte differenze dalle altre. La lezione è per lo più fatta sulle slide, ma ora adoperano anche le tavolette grafiche per le formule e simili. Qualcuno ha fatto lezione dall’università finché ha potuto, usando la lavagna e riproducendo le lezioni dal vivo. I laboratori li facciamo attraverso la webcam e dei simulatori che ci consentono di fare esperienze assimilabili.
Emanuel: A biotecnologie invece è impossibile, gli esperimenti e i laboratori richiedono tempi lunghi che non possono essere riprodotti con i simulatori. Le tavolette grafiche, ovviamente, sono superflue. Per il resto confermo.
Silvia: le facoltà umanistiche in generale hanno iniziato dopo. Il principale problema sono stati i limiti di teams: ad esempio oltre le 250 persone non consente di utilizzare la chat a tutti e si tratta spesso del principale metodo per fare domande e chiedere chiarimenti.
Eleonora: A Urbino si utilizza Blackboard, ma grosso modo è identico alle altre piattaforme. Le lezioni sono sincroniche o registrate, quasi sempre con il supporto delle slide. Quando le lezioni sono registrate questo ci consente di adattarle maggiormente ai nostri tempi, stoppando per prendere appunti, inoltre molti sono poi disponibili a rispondere alle domande via chat. La lezione sincronica invece è più caotica e meno efficace, almeno per me.
Molti sostengono che la didattica a distanza sia un problema per i bambini. L’impressione è che sia diffusa l’idea che nel vostro caso non cambi molto. Voi come avete vissuto questa esperienza? Confermate questa idea?
Silvia: Per me è alienante. La presenza fisica del professore è uno stimolo fondamentale per l’attenzione. L’aula e la presenza degli altri poi sono altrettanto importanti. In apparenza può sembrare più comodo stare a casa e non doversi preparare e uscire, ma la verità è che ci si distrae molto e si perde tanto di quel che si avrebbe ricevuto e scambiato in aula.
Eleonora: Confermo, alienante. Mi mancano i compagni (o colleghi? Qual è la definizione giusta?). Non tanto i professori, mi mancano soprattutto i miei pari e il dialogo con loro, che è importantissimo per capire meglio quel che si sta studiando e imparando. In video questo scambio è difficile, anche quando non si tratta di università, anche nella quotidianità.
Emanuel: la sensazione è che l’università sia considerata un hobby di lusso per pochi. Sembra quasi che, essendo una scelta quella che abbiamo fatto, allora possiamo essere abbandonati e in effetti non si sa nulla sul futuro, anche immediato. I professori non hanno idea di quando riprenderanno e come, e qui ci sono evidentemente delle responsabilità di chi decide. Si parla addirittura del II semestre del prossimo anno, con turni, mascherine e quant’altro.
Matteo: Non sanno cosa fare, ecco cosa ho percepito. Per questo, come diceva Emmanuel, mi sono sentito abbandonato. Il ministro dell’università Manfredi non si è sentito, non ha detto nulla. Così le università sono come delle piccole aziende lasciate a se stesse, senza alcun supporto o indicazione concreta. Sapevo che era un po’ così, ma pensavo che avrebbero fatto qualcosa essendo pur sempre un ente pubblico. Almeno le tasse che paghiamo saranno servite per avviare rapidamente la dad.
Natascia: Mi ha colpito che si sia parlato così poco di università nei media. Essendo a casa mi informo di più e vedo sempre i telegiornali, ma su questo non ho trovato informazioni. Leggendo le faq sembrerebbe che addirittura sia possibile riaprire in autonomia, ma capisco che spostare così tanti studenti su distanze spesso lunghe sia impensabile ora.
Avete riscontrato altri problemi? Cosa vi manca di più dell’università?
Emanuel: A me manca l’atmosfera dell’università, gli altri con cui studi assieme e con cui ti confronti. Fare tutto questo da casa è strano e provoca difficoltà nel concentrarmi
Matteo: I compagni sono la differenza più importante, gli altri studenti. La didattica non cambia poi molto, ma spesso capisco e chiarisco molte cose usciti dalla lezione o nelle aule studio, quando puoi confrontarti con gli altri. Il confronto è quello che mi manca di più.
Natascia: Mi mancano gli stimoli: i compagni, i professori, le biblioteche. Questi sono tutti fattori di motivazione importanti. Non vedo l’ora di poter tornare a Bologna anche solo per concentrarmi meglio.
Silvia: In questo primo anno, anzi inizio di primo anno, non ho conosciuto moltissime persone e stavo cominciando ad ambientarmi solo prima del confinamento. Il confronto con il gruppo con cui studiavo mi manca.
Eleonora: Un problema è l’affitto, non ci sono scelte politiche chiare su questo e ci tocca pagare affitti che non possiamo sfruttare (anche Silvia annuisce). Spesso i libri sono rimasti altrove e non si possono recuperare. Mi mancano i legami? Essendo il primo anno più che altro manca la costruzione dei legami che si stava intraprendendo in questo inizio, si è interrotto qualcosa che doveva essere ancora consolidato.
Cosa pensate all’idea di una chiusura prolungata fino al 2021?
Silvia: Angosciante, è una prospettiva angosciante. Non viviamo la vita universitaria anche solo il tragitto per arrivare all’università, che ti fa sentire in condivisione con tutti quelli che incontri, l’università poi è proprio questo no? Un insieme di persone che stanno vivendo assieme un’esperienza formativa fondamentale.
Eleonora: Si tratta anche dell’interruzione di uno sviluppo e di un percorso di indipendenza. Vivere da soli, lontano dai genitori, era stato importante e ora mi ritrovo al punto di partenza.
Natascia: Mi viene da piangere. Le mascherine non sono risolutive in aule di trecento studenti accalcati, ma mi auguro che in qualche modo, almeno una parte della didattica riparta.
Emanuel: trovo questa idea deprimente. Ci stiamo perdendo degli anni che dovrebbero essere diversi. Io sono all’ultimo anno e non avrò l’occasione di rivedere quelli con cui ho passato questi anni. Poi dovrei iniziare la magistrale, forse in un’altra città, e i miei nuovi compagni di università saranno dei volti in delle finestrelle, così perderò delle relazioni senza poter creare nuovi legami.
Matteo: Anche per me questi sono gli ultimi mesi con i vecchi compagni e i primi con i nuovi della magistrale. I professori li vedrò tutti su uno schermo e anche questo è difficile. Io mi aspettavo qualcosa, che ci fosse una ripresa perché tante persone si muovono per andare in fabbrica e lavorare, quindi non si capisce perché il lavoro sì e l’istruzione no, la fabbrica sì e l’università no. La verità è che dell’istruzione e dell’università non interessa nulla, si tratta dell’ultima ruota del carro e abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione.
Giorgio Stamboulis