Fonte: bellaciaomilano.it
Url fonte: http://www.bellaciaomilano.it/1945/antifascismo/donne-e-antifascite/185-senza-le-donne-non-ci-sarebbe-stata-la-resistenza.html
La Resistenza delle donne fu questo: una sorta di maternage nei confronti della civiltà dei rapporti e delle cose, ma anche le armi, la clandestinità, l’opera preziosa delle staffette, spesso giovanissime.
Già è stata notata la riluttanza a far sfilare le partigiane nei cortei di liberazione: essa non è che il preludio del silenzio che da allora coprirà centinaia di storie vissute da queste donne; silenzio delle istituzioni, anzitutto, ma silenzio delle donne stesse che si sono volontariamente emarginate dalle cerimonie e dalle manifestazioni celebrative, non meno che dai riconoscimenti e dalle onorificenze, per naturale riserbo, riacquistato col ritorno alla normalità. […]
La storiografia ha continuato perciò a considerare e valutare l’operato femminile in base al grado di avvicinamento ai valori, alle dinamiche delle azioni maschili. Individuare ciò che di nuovo emerge da questi nuovi soggetti storici che agiscono in condizioni loro proprie, del proprio sesso, e secondo propri criteri, significa allargare il raggio di visione della storia, vederne la complessità e la contraddizione e soprattutto non trascurarne mai il legame inscindibile con la vita di tutti.
PRIGIONIERE
le donne che scelgono di lottare per la liberazione affrontano il carcere durante la Resistenza.[…]
Suore e parenti si uniscono nel cercare di insinuare i sensi di colpa nelle politiche, donne anormali, che hanno trascurato i figli per la militanza, problema quest’ultimo che, nell’opinione comune anche alle donne, riguarda, nella coppia, soltanto la madre.
Le politiche resistono e, operaie e intellettuali, ottengono qualche modesto diritto, si riuniscono a leggere e a studiare, a discutere tutte insieme e lo studio sembra loro quasi un momento privilegiato di quiete che nel ricordo ci tramandano, nella vita troppo affollata di faccende e di responsabilità che riprendono appena uscite di prigione.
Le donne ostaggio, vivendo il carcere come sopruso violento, sono portate ad accogliere il messaggio delle politiche e, dalla riflessione sulla loro sorte privata, arrivano spesso alla consapevolezza antifascista, e assumono quindi sul campo le ragioni della loro resistenza.
RESISTENZA QUOTIDIANA
Le donne costituirono nel quotidiano per la Resistenza, non un appoggio assistenziale, ma la sua spina dorsale, la sua insostituibile rete di supporto. […]
Così in un primo momento ciascuna, anche se giovanissima, spinta da una profonda emozione, offre aiuto alla fuga, poi si organizza creando immediatamente una vasta rete di assistenza, che serve non soltanto a salvare i singoli smarriti soldati, ma offre agli sbandati la possibilità concreta di organizzarsi in bande di resistenza.
Continua così l’attività delle donne: cominciano la raccolta di armi, di cibo, di vestiario, indirizzano i singoli sperduti.
Le donne cercano, trovano, indicano luoghi adatti al raduno clandestino.
Le ragazze raccolgono i testi dai nascondigli di più o meno difficile accesso, li battono a macchina, li correggono, li portano in tipografia, di qui ritirano poi i giornali, fogli, manifesti e soprattutto li distribuiscono in mille modi diversi.
RESISTENZA ARMATA
Impossibile spiegare i motivi di tutte le scelte individuali, nel complesso delle testimonianze emerge, sia in quelle femminili che in quelle maschili, che l’uso delle armi viene inteso come desiderio di partecipazione totale. […]
Nelle testimonianze femminili si racconta che spesso i partigiani in brigata tendono a voler considerare e a usare le donne nel loro ruolo tradizionale di cura, spetta perciò alla donna, alla ragazza, insegnare che non è venuta a cucinare, né a fare l’amore, è lei che deve pretendere la parità dei compiti e il rispetto deve guadagnarselo sul campo, cioè nella vita in comune e nella lotta armata.
Si forma nella vita in comune un’etica partigiana molto rigida e austera e, nonostante la loro educazione fascista, questi giovani, che non avevano mai vissuto in cameratismo con delle ragazze, perché ai tempi del regime era considerato promiscuità, imparano un modo nuovo di rapportarsi alle donne della loro formazione, le trattano con rispetto, con amicizia, con tenerezza; né gli uni né gli altri dimenticano l’appartenenza di sesso, ma gli uomini cercano nelle partigiane un abbandono che è necessariamente soltanto sentimentale.
Di fronte alle ragazze partigiane, il sesso è rimosso severamente, resta uno di quei problemi “maschili” che a quel tempo le ragazze serie ignoravano, o meglio, fingevano di ignorare anche nella vita partigiana.
Ovviamente nascono nella lotta simpatie e amori che di norma si concludono con le nozze. […]
Finiti i tempi eccezionali, fu poi difficile persuadere gli altri di tanto rigore, e intorno alle partigiane che hanno vissuto in mezzo agli uomini aleggerà sempre un’atmosfera di sospetto. […]
La scelta di vivere in formazione comportava da parte della donna un carattere straordinariamente deciso e spesso la rottura con la famiglia.
Dati offerti dall’A.N.P.I che riguarda le donne:
Partigiane: 35.000 – Patriote: 20.000 – Gruppi di difesa: 70.000 iscritte – Arrestate/torturate: 4.653 – Deportate: 2.750 – Commissarie di guerra: 512 – Medaglie d’Oro: 16 – Medaglie d’argento: 17 – Fucilate o cadute in combattimento: 2.900