di Alfredo Morganti – 26 giugno 2015
“Questo non è il partito né il programma con cui nel 2013 noi senatori del Pd ci siamo presentati davanti agli italiani e davanti ai nostri elettori, che – ne sono certo – non ci perdoneranno facilmente questo tradimento”. Con questo epilogo si chiude l’intervento di Miguel Gotor al Senato. La parola ‘tradimento’ vibra in tutta la sua tragicità. La domanda è semplice, quasi spontanea: si può ‘tradire’ per salvare questo governo e per disciplina di gruppo? C’è congruità tra tradimento verso il proprio popolo e verso i propri elettori e la ‘salvezza’ di un governo che è così distante da noi? Sono proprio questi tradimenti a scavare il solco tra Paese e Istituzioni democratiche, perché sono incomprensibili ai più, mentre gli altri se li spiegano solo con il desiderio di conservare un potere parlamentare per quanto scombiccherato, per quanto limitato al voto di decreti e fiducie continui, e per quanto generatore di ‘tradimenti’ continui.
Che la notte stia calando ce lo dimostra anche l’aggressione a Mineo, il quale non aveva partecipato alle votazioni per dissenso sui contenuti della legge sulla scuola, eppure è stato minacciato nella sua incolumità dagli insegnanti in piazza. Quando voleranno le monetine le prenderanno tutti, vedrete, anche chi si è ‘distinto’ (ma non eccessivamente). Saranno tutti traditori, come Gotor stesso ammette. Semplicemente perché si è rimasti nel gruppone, si è votato come il gruppone, si è fatto da ‘palo’ al gruppone. Una piazza espressione di un mondo che è il tuo, che era il tuo, non vuole distinguere tra chi ha votato la fiducia, tradendo le aspettative del proprio popolo, e chi si è semplicemente allontanato dall’Aula. Tutti colpevoli, a meno che tu non abbia votato no o sia uscito dal PD. E non paia uno scherzo del destino che sia toccato a Mineo: le monetine più pesanti colpiscono sempre quelli che non se le aspettano, o quelli che sono più innocenti di altri. E forse, detto per inciso, era meglio non sfidare la piazza andandogli incontro.
A proposito di monetine. Io spero, nel caso piovano, che gli italiani abbiano la mira giusta. Ma non mi fido. Già venti anni fa, con tangentopoli, sbagliarono mira. Invece di colpire i colpevoli li rimisero in sella sotto altre sembianze, invece di salvare la classe politica onesta diedero forza alla destra aziendalista berlusconiana. Anche stavolta, vedrete, alla fine andrà così. Anche perché la destra riformista (nelle sembianze di Renzi) è già al vertice, mentre la destra vera, quella più cattiva nei contenuti e nelle forme, potrebbe arrivare dopo di lui. La strada la stanno spianando le riforme del governo (altre ne verranno), e i lanzichenecchi futuri non dovranno far altro che percorrere questa strada già segnata. Si stanno già armando, peraltro. Renzi finirà in coincidenza dell’arrivo dei barbari futuri.
Ma vengo al punto. Si è detto: non ci si salva da soli, non ci si salva uscendo dall’Aula. Ma nemmeno rimanendo tutti assieme e saldamente all’interno di questo tragico generatore seriale di ‘tradimenti’ che è il PD. Ho ancora alla mente e negli occhi l’assalto a Lama all’Università di Roma. Ieri le scene di Mineo me lo hanno ricordato. Sono eventi che segnano una fase. Io temo che questo atteggiamento passivo, minoritario della sinistra (che testimonia uno ‘stato di minorità’ lungo, che viene dalla fine del secolo scorso, ingenerato soprattutto da un colpevole difetto di cultura politica) non paghi affatto, o paghi anche peggio dei distinguo personali ma incompleti (non voto ‘no’, decido di non votare e basta). Ecco. Immaginate se si fosse votato ‘no’ alla fiducia, invece di cedere al ricatto o allontanarsi dall’Aula. Sarebbe caduto il governo? Saremmo andati a elezioni? Avrebbe vinto il ‘ricatto’ di Renzi? Chissà. Di certo avremmo recuperato qualcosa del solco profondo che si sta scavando tra la sinistra italiana e una parte rilevante del suo mondo. Ma poi, perché mettere i carri davanti ai buoi? Un passo alla volta. Intanto non voto la fiducia al governo e poi vediamo. Potremmo anche decidere di andare a esplorare tutti assieme le grandi praterie della sinistra oggi lasciate sguarnite, perché no? Certo, per far questo ci vorrebbe non solo il coraggio di rimettersi in gioco, ma anche una proiezione verso il futuro, una certa visionarietà, un senso dei grandi sommovimenti e la mira di traguardi sempre più avanzati che forse oggi ci manca. E questa mancanza è peggio che far cadere il governo Renzi, è peggio che sottostare a ricatti, è peggio che salvarsi o restare sommersi, da soli o tutti assieme che poco cambia.
L’orchestrina del Titanic sta suonando; c’è chi balla allegro perché è passata la legge, e c’è chi sta in disparte ammusato. All’iceberg questa sfumata distinzione poco importa. Cercarsi una zattera, prendere un’altra rotta, non è per salvare se stessi dal diluvio di monetine, ma è per ridare un po’ di speranza a tutti. E anche un po’ di dignità personale, che di questi tempi non guasta.