Selfie da Damasco

per Gabriella
Autore originale del testo: Anna Lombroso
Fonte: il Simplicissimus

Anna Lombroso per il Simplicissimus – 18 gennaio 2015

Non so chi siano le due ragazze rientrate in Italia dopo una lunga “detenzione” in Siria.

So che sono giovani, molto giovani soprattutto in un Paese dove è considerato giovane, e giustificato ed amato a motivo di ciò, un leader sfrenatamente ambizioso, inguaribilmente bugiardo, tremendamente pasticcione, prepotentemente ignorante.

Capisco che sono molto influenzabili, in un Paese dove la maggior parte della gente è propensa a credere alle promesse di macabri  illusionisti che giocano con le loro esistenze e ad uniformarle secondo i loro dettami, convinti che imitandoli ci si garantisca benessere e beni.

È probabile che siano se non incoscienti, certo sprovvedute, ma non rappresentano certo un’eccezione in un Paese dove lo è, e criminalmente, il ceto dirigente che ritiene  la responsabilità un onere incompatibile con il potere, l’avventatezza una spigliata virtù moderna, l’imprudenza – soprattutto se è impudente, una delle qualità del piglio dinamico e  giovanile della cricca di amici al governo, incauti nelle promesse e nell’esposizione mediatica, quanto parsimoniosi nell’assunzione di obblighi e doveri.

Abbiamo visto che sono un po’ vanitose, un po’ fatue, ma anche loro sono venute su a selfie e esternazioni sui social network. Io poi sono sempre per la trattativa da Moro in poi, mi rode che si spendano soldi dello stato per ubbidire a un ricatto, ma anche a questo siamo abituati con la troika, l’Fmi, le banche.

È possibile che abbiano combinato spirito missionario con l’incauto schierarsi con una fazione, ma siamo colpevoli tutti di aver ridotto lo spirito d’avventura ad avventurismo, di aver convertito il confronto in inimicizia, di aver  limitato la visione del proprio futuro, concentrandola in istantaneità, in “situazionismo” sterile, di aver fatto dell’affermazione personale di indole, vocazione, inclinazione una sfida da esprimere in talent show, rischi spettacolari tramite jumping, o in nuove appartenenze folgoranti su inopinate vie di damasco.

Mi interessa invece  sapere di più delle tifoserie, dei pro e dei contro, di chi come Saviano le vuol vedere come figure allegoriche dello spendersi per gli altri, come immaginette contro corrente dell’impegno che invece che in politica tradizionale, si declina in integra comunanza con chi soffre, contro l’esercito degli spocchiosi indifferenti, della mediocrità accidiosa. Ma anche di quella maggioranza poco silenziosa che ripete il suo immancabile mantra: ma state a casa, ma andate a lavura’, ma spediamoli in miniera, davanti a loro come assistendo allo sfilare di studenti, precari, donne, senzatetto che protestano, condito del valore aggiunto di un po’ del pepe del sessismo.

È che nella totale latitanza della partecipazione alla cosa pubblica, volontaria o imposta, violata o disillusa, nel dileggio dell’impegno civile, impotente di fronte all’onnipotenza dell’interesse privato, nel quotidiano nutrimento offerto all’inimicizia, alla diffidenza, all’ostilità come irrinunciabile componente della competizione, è diventato uso comune delegare la solidarietà, dare mandato di fratellanza e perché no? di giustizia, ai professionisti del no profit, alle amministrazioni del volontariato, alle burocrazie della compassione, che facciano loro in modo da mettere a posto coscienze dimissionarie nel pubblico come nel privato, se pensiamo che il Veneto che guarda con rinnovato interesse alla Lega, c’è la più alta concentrazione di associazionismo no profit, dedicato anche all’accoglienza e all’assistenza dei non indigeni, gli stessi rifiutati, respinti, emarginati dal consorzio civile tramite leggi dello stato e ordinanze di sindaci, e lasciati in ricattatoria condizione di irregolarità da padroncini, padrone, datori di lavoro di ogni categoria, magari gli stessi che elargiscono elemosina e carità pelosa.

È che è più facile sostituire la beneficienza alla solidarietà, incaricandone anime più o meno belle, figurine più o meno credibili, dando loro credito anche quando sarebbe preferibile – per una volta – la cautela all’entusiasmo. Suscita più consenso offrire una larga platea a mani destre, anche se maldestre o sleali o solo vanitose, per farlo sapere ad altre mani  che così si liberano di sensi di colpa, soprattutto quella dell’accidia. Che tanto quello che conta non è fare, ma stare da una parte contro l’altra – non importa la causa, il fine – con le due ragazzine almeno imprudenti, con i marò probabilmente colpevoli,  con i benpensanti, almeno ipocriti, con quelli che menano i senzatetto, almeno sono nella legge, con  i valligiani, almeno badano ai loro interessi, con gli industriali, almeno finché ci sono danno lavoro, e contro chi vuole verità, sono gufi, contro vuole qualcosa d’altro, sono disfattisti, contro chi non è d’accordo, sono eversori.

È diventato solo questo essere “partigiani”, per questo stiamo perdendo la guerra.

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