Se questa è una sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti  6 maggio 2016

In questi decenni non siamo mai stati fermi. Abbiamo traslocato dall’una all’altra forma-partito in modo instancabile, ogni volta sostenendo che si trattava di una scelta giusta, l’unica possibile, per stare al passo coi tempi, per ‘aderire’ ai cambiamenti e alle ‘novità’.

Abbiamo affidato a primarie aperte la selezione della nostra classe dirigente. E in questa circostanza abbiamo consentito a chiunque (di destra, di sinistra, di centro, apolitico, apartitico, avulso, di passaggio, interessato e disinteressato) di decidere per noi chi dovessero essere i nostri candidati Premier, Presidenti di Regione, di Provincia, Sindaci, e persino chi dovesse entrare in lista per il Parlamento.

Abbiamo anche cominciato a ‘liquefare’ l’organizzazione, alleggerendola, trasformandola in un comitato prima e in un carosello di clan personali dopo. Oggi la sinistra che non c’è ha la forma di un marchio, il volto di un outsider e parole che non t’aspetteresti mai.

Avevamo anche un quotidiano glorioso, antico, che era passato indenne in mezzo a mille traversie. Oggi di quel quotidiano è rimasto il marchio usurpato, e poco più, con un contenuto giornalistico che un tempo avremmo considerato una burla o una specie di provocazione.

Abbiamo eletto un segretario nazionale nonostante minacciasse che ci avrebbe rottamato tutti (noi più anziani, con le nostre idee stravecchie, con le nostre abitudini inveterate) e che poi riceveva un Berlusconi stracotto al Nazareno, e da quel patto ripartiva senza nemmeno dirci che cosa si fossero detti al chiuso delle loro stanzette.

Abbiamo visto chiudere i circoli, spesso per mancato pagamento delle bollette di affitto.

Abbiamo visto le riflessioni, i pensieri, gli scritti una volta più densi e voluminosi, ridursi alle dimensioni di un tweet, in una sintesi all’osso delle idee, che idee non sono più anche per questo. Nello stesso tempo, le relazioni del segretario diventavano sempre più prolisse, mentre gli interventi si accorciavano a pochi minuti e il dibattito si riduceva a una schermaglia di improperi.

Intanto nelle città i Sindaci cadono dai notai, i candidati non si distinguono più dagli avversari, le firme vengono vidimate senza date. I moduli decidono del nostro destino. Parallelamente, in altre città, i candidati di destra e sinistra appaiono sempre più uguali e interscambiabili, togliendo in fondo agli elettori l’imbarazzo della scelta.

I confini politici si cancellano, e un grande blob virale denominato ‘Partito della Nazione’ è pronto a inglobare tutto in un complesso ‘destra-sinistra’ che assume la forma scandalosa di un unico concetto. Il centro, di conseguenza, divento solo un ente geometrico dove si addensano tutte le sfumature in un unico progetto di governo. Un nuovo grande sistema politico dove al centro c’è il centro, e attorno tutto il resto. E in quel centro, al centro del centro stesso, un uomo che risponde così ai magistrati: “rilascino le interviste che vogliono, io ho da lavorare”.

Ecco. Abbiamo gettato via tutto, ma proprio tutto, compresi noi stessi, per diventare i sacerdoti del ‘fare’ e della ‘tecnica’. Ma ciò non vuol dire che le cose si stiano facendo bene, con la dovuta ponderazione degli obiettivi di equità e giustizia. Né che siano cose davvero di sinistra. Semplicemente si ‘fanno’, e vengono denominate eccentricamente ‘riforme’. Un concetto di cui i nostri i vecchi dirigenti e i maestri politici inorridirebbero.

Una sinistra infine che sta distruggendo il concetto di rappresentanza: in termini formali, mediante l’Italicum, e in termini sostanziali, perché sono molti, troppi quelli che cominciano a sentirsi non più rappresentati. C’è una sinistra che c’è ma non c’è, che vorrebbe scegliere ma non può, ma che sta smorzando la sua passione. C’è una sinistra senza la quale il Paese diventa più povero, più brutto, più solo e più incerto. È questo che volevano? Be’, ci stanno riuscendo.

La cosa più grave, insopportabile, è che vorrebbero pure che dicessimo sempre ‘sì’, magari col sorriso sulle labbra, e magari pure ‘sissignore’, urlandolo come un sol uomo, un uomo plebiscitario, un uomo che non sceglie più, perché non può, perché non rientra più nelle sue corde, perché c’è poco da scegliere. Un uomo che fa, e tanto basti. Al resto pensano gli altri.

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