Se questa è una scuola

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 10 luglio 2017

Mia moglie è un’insegnante. Fa questo mestiere da sempre. Ci ha costruito sopra una carriera scolastica e universitaria, ha fatto corsi a latere per il sostegno, si aggiorna, ama il suo lavoro. È un mestiere difficile, non solo nella parte didattica, ma anche in quella relazionale: ha a che fare ogni giorno con i suoi alunni, i suoi colleghi, le famiglie, gli orientamenti ministeriali. È una maestra, quindi il suo lavoro non si risolve asetticamente nel somministrare con metodo delle nozioni. No. I bambini necessitano di un piano affettivo, empatico talvolta. E le famiglie pressano molto di più le maestre rispetto ad altri docenti, in special modo quelli di scuola superiore. Inoltre insegna in una borgata di Roma, all’interno di un tessuto sociale critico, problematico, multietnico, talvolta molto disagiato.

Ebbene, dopo oltre 25 anni di carriera scolastica, il suo stipendio oggi sfiora appena i 1500 euro. Il contratto di lavoro è scaduto da tempo e il futuro non riserva granché. Ha vissuto personalmente il lento abbandono a cui la scuola pubblica italiana è stata sottoposta. Si sente ripetere che è fortunata perché ha tre mesi di ferie (in realtà a luglio ancora fa corsi di aggiornamento). E come se non bastasse, per molti italiani gli insegnanti sono dei fannulloni incapaci, mentre per altri degli aguzzini da stanare con le telecamere nascoste. Non è facile lavorare con questi pregiudizi sociali pendenti sul capo. La invidio, perché nonostante tutto interpreta come una missione il proprio lavoro, mettendo al primo posto sempre gli alunni, e poi tutto il resto. Soddisfazioni poche, ma quando arrivano sono aria fresca. Tra queste, c’è l’affetto che i bambini sanno comunque sprigionare verso la propria insegnante, la seconda istituzione fondamentale di questo Paese dopo la mamma.

Nella vita di mia moglie e nel suo percorso di carriera, vedo riflessa la caduta rovinosa della scuola pubblica italiana. Il suo calo di rilevanza e il disinteresse che suscita in governi che parlano solo di ‘crescita’ economica, senza nemmeno essere capaci di produrla. Una caduta che, adesso, è stata anche fotografata da un rapporto OCSE sul trattamento economico degli insegnanti. Dal 2005 a oggi, il potere di acquisto delle maestre (e dei docenti in genere) è calato in Italia di 7 punti percentuali, mentre in Germania cresceva di 10 e in Irlanda addirittura del 13%. Solo la Grecia è sotto di noi, con stipendi tagliati del 30%. Se la situazione è questa, non ci si deve meravigliare del calo delle motivazioni, se la carriera insegnante non viene intrapresa da forza lavoro sempre più qualificata, se l’immagine generale è di sfiducia e di abbandono. Solo maestre e insegnanti mantengono in piedi, con dedizione, orgoglio e paghe basse, un’istituzione in crisi culturale, di risorse e di prospettiva.

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