Gianluigi Paoletti – 24 marzo 2015
Il governo ha in cantiere due riforme importanti, quella che ridisegna la Rai e quella che riorganizza la scuola. Due settori fondamentali, da anni maltrattati: la Rai a causa della legge Gasparri che sacrifica il pluralismo e la libertà di informazione sull’altare del duopolio Stato-Mediaset, e la scuola a causa dello stillicidio delle risorse al quale vari governi l’hanno condannata, mortificando l’educazione nel suo complesso: gli educatori e gli studenti. In precedenza si erano messo in dubbio alcune proposte, come quella della parziale detassazione della retta per chi iscrive i figli alle private parificate e quella del contributo del 5 per mille che i cittadini possono destinare, se lo vogliono, alle scuole, secondo una logica di scelta privata che è in contraddizione con il bene pubblico dell’istruzione.
Comune ad entrambe queste due proposte di riforma vi è inoltre un tratto distintivo non ancora sottolineato e che merita attenzione: l’accentramento delle funzioni dirigenziali secondo il modello della «governance» (termine molto in voga ma mai completamente chiarito ai cittadini), una trasformazione non di poco conto dei sistemi di decisione nella gestione dei beni pubblici. Circa la nuova Rai, per esempio, si propone un cda eletto dal Parlamento con il capo azienda nominato dal presidente del Consiglio (con voto di conferma del cda). Circa la scuola, la figura dei presidi diventa simile a quella degli amministratori delegati nelle aziende private: formano la loro squadra (un vero e proprio cda) scegliendo da appositi albi territoriali costituiti dagli Uffici Scolastici Regionali i docenti che ritengono più adatti per realizzare i loro piani di offerta formativa.
Il successo di una governance nelle aziende private si misura con i profitti. Quale sarà il successo che convaliderà l’offerta formativa nel caso delle scuole statali, forse il numero dei diplomati o l’attrazione di studenti mediante la creazione di attività ricreative, come avviene negli Stati Uniti? Si sostiene che l’accentramento dei poteri nella mani di un preside e del suo consiglio consentirà di realizzare l’autonomia scolastica, di avere cioè maggiori strumenti per gestire risorse umane, tecnologiche e finanziarie. Autonomia di gestione per ottenere che cosa? La scuola statale deve mirare all’inclusione degli studenti nell’attività formativa (universale nel caso della scuola dell’obbligo), non a caso a partire dagli anni Settanta, lo Stato e gli enti locali hanno approntato risorse per gli insegnanti di sostegno e per il diritto allo studio (risorse che tutte le riforme hanno teso a ridurre fortemente). Ora, supponiamo che l’istituto pubblico A voglia competere con l’istituto pubblico B (per avere, si spera, gli studenti migliori). Che cosa metterà sul mercato della reputazione per diventare competitivo? Troverà davvero conveniente fare scelte che impiegano risorse per l’inclusione dei disagiati?
Il merito di uno studente portatore di handicap può implicare dover investire più risorse: siamo certi che nel mercato dell’autonomia competitiva questo si traduca in politiche giuste e in eguali opportunità? Certo, quasi tutto dipenderà dal preside e dalla squadra che sceglierà in base ai suoi obiettivi (e alle sue visioni) e che predisporrà piani triennali con grande autonomia decisionale (sentiti gli insegnanti, il consiglio di istituto e le realtà territoriali, organi che però danno pareri non vincolanti; del resto, nella struttura piramidale aziendalistica gli insegnanti diventano dei dipendenti del preside più che dei collaboratori).
La logica della governance è, come si sa, di tipo “mono issue” (monocratica): la direzione amministrativa dell’impresa ha uno scopo unico intorno al quale tutto il resto ruota (dal servizio di chi lavora e all’oggetto del prodotto): il profitto, non la coerenza a principi o a criteri di merito e di giustizia come dovrebbe essere nelle strutture amministrative che gestiscono i beni pubblici (certamente la scuola). Il perseguimento di un obiettivo quantificabile risponde a una logica che non è ispirata alle stesse condizioni normative di un’amministrazione pubblica; per questo, dovrebbe impensierire l’applicazione del modello-governance alla scuola, che non sforna automobili ma forma persone. I referenti della scuola sono i futuri adulti, persone che devono essere stimolate a sviluppare le loro potenzialità (secondo tempi che, nonostante tutto, non sono programmabili come quelli della fabbricazione di un’auto); cioè un lavoro che è un processo misurabile solo molto approssimativamente in termini quantitativi. Una domanda che il legislatore dovrebbe porsi nel valutare questa proposta di riforma è quindi la seguente: che cosa esattamente significa offerta formativa e successo di gestione nella scuola pubblica?