Fonte: L'Espresso
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Massimo Cacciari 30 gennaio 2015
Conoscere il nemico è necessario per fare la guerra. Così come per ogni strategia di pace. E invece l’Islam viene più che altro demonizzato dall’Occidente. Che dovrebbe anche mettere in discussione la propria identità.
Ho riletto in questi giorni due omelie del cardinale Martini, la prima alla vigilia della guerra del Golfo, la seconda di pochi giorni successiva all’11 settembre, intitolate “Noi e l’Islam”. Come è accaduto che quell’“e”, già tanto drammatico, si sia trasformato in un abisso apparentemente insuperabile?
Certo, nulla di ciò che Martini auspicava si è verificato. Nulla si è fatto per eliminare le cause di risentimento, di disprezzo, di odio che tanta parte del mondo islamico nutre nei confronti dell’Occidente. Anzi, guerre sciagurate nel corso dell’ultimo ventennio hanno finito con lo sconvolgere i già precari equilibri in tutto il Medioriente, moltiplicando problemi e conflitti, lungi dall’avviarli a soluzione. L’assenza di ogni strategia nell’affrontare le “primavere arabe” ha, poi, lasciato che proliferassero nuovi “mostri”, come lo “Stato islamico”, ormai accampato sulle rive del Mediterraneo in faccia alla Sicilia.
Che la leadership europea abbia risposto con unità e ragionevolezza all’assalto terroristico di Parigi può consolare, ma non muta i termini della tragedia. Soltanto un’Europa politicamente unita, fondata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, in grado di intervenire con un proprio disegno culturale, economico e politico sulla scena mediorientale, potrà dimostrarsi alla sua altezza. E non è forse evidente che tra i fini della guerra dichiarata da “Stato islamico”, Al Quaeda, ecc., vi è quello di creare le condizioni per una violenta reazione xenofoba contro l’Islam tout court, che porti al successo le forze nazionaliste, micro-nazionaliste, anti-euro e anti-unitarie in Europa? Tutto si tiene, come sempre. Coloro che lavorano e predicano per spezzare ogni ponte, ogni possibile “traduzione” tra i linguaggi dell’Europa e quelli dell’Islam, coloro che nei fatti affermano come sola logica qui applicabile quella amico-nemico, sono gli stessi che stanno tentando di disintegrare la possibilità stessa dell’unità politica europea. E che hanno come migliori alleati i liberisti-rigoristi senza se e senza ma, quelli che fanno coincidere l’idea d’Europa con la sacra stabilità dell’euro-marco.
Ma a costoro non si può certo rispondere con gli “abbracciamoci tutti”. “Scontro di civiltà” è un’espressione sciocca perché ogni civiltà sono molte . Conoscerne le differenze interne è fondamentale per ogni strategia di pace , senza la quale anche la guerra diviene cieco atto di violenza o di vendetta. Certo, ha radici islamiche anche il fondamentalismo estremo che oggi ci attacca. Anche chi erigeva i roghi per gli eretici era cristiano. La storia è una tragedia,e spesso un inferno. Ma la sharia , la retta via del musulmano, la sua jihad , la sua guerra interiore per vincere la tentazione del male, sono anche infinitamente altro, possono dar vita ad altre e opposte interpretazioni, con le quali per la nostra cultura è possibile magari non l’intesa o l’accordo, ma il fra-intendersi , il dialogo sì. La così detta “integrazione” inizia da qui, e poi potrà svilupparsi sul piano economico e sociale. Inizia dalla conoscenza dell’altro, dal discernimento delle sue stesse interne posizioni e dall’apprezzamento di quelle che rendono possibile una relazione matura e consapevole. Senza una tale intelligenza neppure parlare di guerra ha senso! Quale arte della guerra sarà mai concepibile se non si sa far leva sulle contraddizioni interne al campo “nemico”?
Ma ancor più necessario in questo confronto epocale sarebbe riflettere sulla nostra “identità” in questo inizio di Millennio. Ci è facile criticare quella, fortissima, che ogni autentico musulmano ritrova in sé: la propria sottomissione in ogni aspetto della vita alla volontà rivelata di Dio. E noi? Libertà insofferente di ogni limite? Insaziabile brama che mai può trovare soddisfazione? La paradossale “religione” di un infinito progresso, nella quale costringere a entrare tutti gli abitanti del pianeta? Impossibile un dialogo dove chi lo inizia non si metta anche in discussione. Nei suoi momenti più alti l’Europa di questo è stata capace. Saprà esserlo ancora?