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lettera di Stefano Fassina al Corriere della Sera, 30 agosto 2015
Caro direttore,
Paolo Mieli in un interessante editoriale di giovedì scorso racconta le disavventure della sinistra europea, segnata da scissioni utili, a suo avviso, soltanto a far vincere la destra.
Nella sua analisi, la realtà è data. Alternative di governo sono impraticabili. La Storia è davvero finita come preannunciava Fukuyama dopo l’89. Visto la fine del governo Tsipras? In sostanza, da Tony Blair in avanti, compito della sinistra è accompagnare la fine delle democrazie delle classi medie: svalutazione del lavoro, smantellamento del welfare, svuotamento della vita democratica. Le scissioni, quindi, non hanno senso. Meglio provare tutti insieme a smussare qualche angolo della sola agenda possibile, invece che portare fuori strada uomini e donne altrimenti rassegnati a continuare a votare per chi colpisce i loro interessi e, così, far vincere l’interpretazione feroce del pensiero unico.
Lo storytelling proposto scambia le cause con gli effetti. Le scissioni e le costruzioni avviate sono effetti, non cause della sconfitta della sinistra. Seguono le scissioni di popolo. In Italia, larga parte del popolo pd ha lasciato il Pd dopo il Jobs act e, in particolare, dopo la «riforma» della scuola, provvedimenti di stampo liberista in linea con le condizioni imposte dalla moneta unica. Il crollo della partecipazione al voto nelle cosiddette «regioni rosse», prima in Emilia e poi, a tappeto, il 31 maggio scorso sono indicatori chiari. Altro popolo andrà via dopo il preannunciato intervento fiscale, fonte di effetti iniqui e ulteriori tagli di servizi sociali fondamentali.
Ma non si sarebbe potuto rimanere dentro a combattere? No. A differenza dei pochi rimasti nel Pd con autonomia culturale e politica, convinti di riconquistare il Pd, non considero Matteo Renzi intruso, ma interprete abile e estremo del Pd nato al Lingotto, segnato dalla democrazia plebiscitaria dello statuto e dal liberismo europeista del programma. Bersani è stata l’eccezione. Inoltre, ritengo che, data l’assenza in Italia di una destra in grado di garantire l’ordine teutonico vigente nell’eurozona, il Pd di Matteo Renzi non farà la fine del Pasok.
E fuori dal Pd, che fare? Ricominciamo un’altra storia. Con tanti compagni di viaggio in Europa, spesso oltre i confini di una famiglia socialista subalterna ai conservatori e inutile. Puntiamo a rigenerare speranza di chi è rimasto a casa, a connettere sofferenze isolate, creatività diffusa, talenti traditi. Proviamo a conquistare spazi culturali, sociali, politici e istituzionali per spingere anche chi è rimasto nella casa madre a rigenerare una forza di cambiamento progressivo. Non vogliamo piegarci alla «cultura dello scarto» denunciata da papa Francesco. Può darsi siamo illusi. Certo, non rassegnati. Sconfitti, ma non vinti. Per una ragione elementare: così non va. Gli «scartati» sono troppo numerosi. Il meccanismo si inceppa. La chiamano «stagnazione secolare». È l’effetto di insostenibili disuguaglianze.
Stefano Fassina deputato