Sciogliamo la Lista Tsipras e facciamo come Podemos

per Gabriella
Autore originale del testo: Curzio Maltese
Fonte: huffingtonpost.it
Url fonte: http://www.huffingtonpost.it/curzio-maltese/lista-tsipras-podemos_b_6199974.html?fb_action_ids=10203075215106756&fb_action_types=og.comments

di Curzio Maltese da huffingtonpost.it 21 novembre 2014

Non c’è tempo. Non c’è più tempo da perdere per costruire una sinistra di opposizione. Nel suo ultimo discorso in Italia, domenica scorsa a Firenze, Alexis Tsipras ha ricordato come nella periferia d’Europa la nuova sinistra costituisca già l’unica vera alternativa alle politiche di austerità applicate ugualmente da governi di destra, sinistra e di sinistra-destra. . Poi, dopo una pausa, ha aggiunto: “Nel modo che sceglierete…”. La sala ha accolto la precisazione del leader di Syriza con una risata. Ebbene, quella risata ha seppellito mesi di dibattito sul dopo la Lista Tsipras.

Il confronto fra quanto è accaduto a sinistra dei socialisti in Italia e negli altri paesi definiti dal merkelismo è ormai imbarazzante e merita la risata di Firenze. In Grecia Syriza si prepara a prendere il governo alle elezioni anticipate di febbraio o marzo. In Spagna a ottobre potrebbe toccare a Podemos di Pablo Iglesias, nato da pochi mesi e ora stimato poco sotto il 30 per cento. Nella primavera del 2016 il Sinn Fein punta al ruolo di primo partito d’Irlanda. Perfino in Portogallo, nonostante una storia di divisioni all’italiana, il fronte di sinistra viaggia oltre il 20 per cento.

Tutte queste forze hanno origini e stili differenti. Syriza è l’approdo di un lungo processo di fusione di vecchie e minoritarie sigle della sinistra radicale. Podemos si forma nei movimenti fuori dai partiti, gli indignados. Sinn Fein ha oltre un secolo di storia ed è nato come movimento indipendentista. Tutte però hanno capito che l’unico campo di azione politica per una nuova sinistra è l’Europa. E che in Europa ormai esistono soltanto tre fronti politici, tre strade. La principale è la grande coalizione permanente fra socialisti e popolari, quella che governa a Bruxelles con Juncker e in metà dei governi dell’Unione, compresi Italia e Germania, e si propone di continuare sulla via dell’austerità merkeliana, al netto di chiacchiere e distintivi. La seconda è il risorgente nazionalismo dei populismi di destra, i fascismi del XXI secolo, da Lepen a Farage a Orban, verso i quali guardano da noi la Lega di Salvini, apertamente, e anche Grillo e Casaleggio, sia pure con qualche comprensibile titubanza o vergogna. La terza strada è incarnata dai movimenti come Syriza e Podemos e Sinn Fein, che contro lo status quo e chi vuole distruggere l’Unione propongono un europeismo più giusto e solidale.

Per questa ragione nel programma che Tsipras presenta agli elettori greci non è compresa nessuna miracolosa ricetta nazionale per uscire dalla crisi. Di quelle che la politica italiana, per intenderci, s’inventa da vent’anni senza successo, da Berlusconi a Renzi. I tre punti centrali sono: 1) la fine immediata dell’austerità in Europa; 2) una conferenza europea per la riduzione del debito pubblico; 3) un New Deal continentale per la creazione di milioni di posti di lavoro. Podemos ha già aderito a questa impostazione europeista e non solo sui tre punti. Anche sui temi e problemi più caldi della polemica politica interna, come la corruzione politica o l’evasione fiscale o la lotta alla criminalità organizzata o le politiche d’immigrazione _ peraltro gli stessi in Spagna e in Italia _ il movimento guidato da Pablo Iglesias avanza proposte a livello continentale. E per questo gli elettori li premiano.

E in Italia? Sono stato al congresso di Madrid di Podemos, un movimento destinato a cambiare il modo di far politica non solo in Spagna e a sinistra, e al ritorno in Italia sembrava di aver fatto un salto indietro di quarant’anni, alle vecchie diatribe fra le cento sigle del movimento studentesco anni Settanta. La lista l’Altra Europa era partita col piede giusto, un progetto europeo chiaro fin dall’indicazione del leader, Alexis Tsipras. Ma là ci siamo fermati. Ora che la mannaia sociale dell’austerità, dopo aver affilato la lama tagliando posti e salari in Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo, sta passando sulle teste dei lavoratori italiani, la rivolta sociale ha creato anche da noi un enorme spazio per un’alternativa alla sacra alleanza fra Renzi e Berlusconi. Ma noi stiamo ancora qui a discutere del sesso degli angeli, ciascuno geloso del proprio simbolo e delle proprie vecchie bandiere, in attesa magari di un uomo della provvidenza, sperando che Maurizio Landini faccia quel che ha negato in ogni modo di voler fare, scrutando i passettini in avanti o all’indietro di Sel o Rifondazione, cercando di divinare le reali intenzioni delle correnti del Pd.

Non c’è tempo. Occorre da parte di tutti un atto di coraggio e di generosità. Sciogliere tutte le sigle ancora in piedi, da Sel a Rifondazione Comunista alla stessa L’Altra Europa, per dar vita da subito a un movimento unico a sinistra del Pd. Ed essere coraggiosi fino in fondo, cambiando anche le facce, i leader, la generazione alla guida, gli strumenti e gli stili di comunicazione, come hanno fatto greci e spagnoli. Se non sarà possibile con tutti, almeno con chi ci crede da subito, dentro le sigle della sinistra radicale come dentro il Pd. Ho detto subito, ma sarebbe stato ancora meglio farlo ieri. E invece ancora domani, alle elezioni regionali, si è preferito andare divisi. Che almeno sia l’ultima volta. Il 2015 può segnare una grande novità in Europa a partire dalla periferia, in Grecia, Spagna e Irlanda. Il prossimo treno per la sinistra italiana potrebbe passare fra molti anni.

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