Scalfari e il popolo sovrano

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lucia Del Grosso
Url fonte: http://www.luciadelgrosso.it/?p=2106

di Lucia Del Grosso – 24 luglio 2016

Oggi Scalfari ci dice su Repubblica senza ipocrisie quello che avevamo già capito: che lui non crede nel popolo sovrano e che il governo deve essere affidato ad un’oligarchia che sa governare. Perché non crede nel popolo sovrano lo dice qualche riga sopra: perché per metà non va a votare e quindi se ne fotte dell’interesse generale e un’altra metà dei rimanenti vota in base ad interessi particolari e quindi anche questa se ne fotte degli interessi generali. Insomma solo un quarto del popolo è moralmente e intellettualmente degno di esercitare la sovranità. Invece la sua oligarchia è integerrima e vocata alla cura dello Stato, non sbaglia, non ruba, non ha il vizio del nepotismo e meno che mai ha interesse a conservare la sua poltrona: su cosa ripone questa illimitata fiducia?

Ma ha espresso anche un altro concetto interessante: questa schiatta di oligarchi cervelloni ha bisogno del sostegno popolare. “Non più di questo”, si premura di sottolineare, ma se questa base cede, la classe dirigente va in crisi e lo Stato va a puttane. In altri termini: popolo, non sovrano perché sei una capra, mi raccomando fai la claque ai geni che ti governano perché hanno studiato nelle migliori università e sono illuminati. Il popolo come serbatoio di consenso, ma per carità per il resto lasciamolo stare perché non capisce niente.

Paragonati a Scalfari gli élitisti Mosca e Pareto erano più progressisti. Ma anche Erodoto, che almeno apriva il dibattito sulla migliore forma di governo, se la monarchia di Dario, l’oligarchia di Magabizo o la democrazia di Otane.

A parte il fatto che solo l’utopia (o distopia) della democrazia diretta ha ipotizzato il superamento delle classi dirigenti nelle funzioni di governo, e che quindi il senso della democrazia risiede nella selezione operata dai cittadini della classe dirigente, una domanda a Scalfari mi sorge spontanea: se il popolo è una schiappa, chi legittima questa élite adamantina? Come tutti gli elitisti Scalfari risponderà: il merito.

Il merito è quella bella parola che campeggia nelle slides della sinistra leopoldina e che viene spacciata come il principio primo della democrazia: cosa c’è di più democratico dell’assegnare i ruoli nella società, e quindi pure di governo, del merito, che può essere posseduto da tutti, ricchi o poveri, figli di papà o figli di nessuno, basta solo farsi il mazzo?

Già. Peccato che non esista un metodo oggettivo per misurare il merito delle élite al governo, a meno che non l’abbiano trovato per giustificare il ministero della Boschi. Immagino il test: grado di vicinanza con il premier.

Perché che lo ammetta o no, caro Scalfari, l’oligotecnocrazia senza popolo a cui pensa Lei è selezionata per cooptazione, non per doti politiche, profondità di pensiero e visione lunga. E’ associata al governo dai predecessori perché nulla cambi dell’esistente: l’austerità, i conti in ordine, lo smantellamento dello stato sociale, la flessibilità del mercato del lavoro. Polli di allevamento covati in università prestigiose senza mai aver avuto a che fare con una battaglia o un conflitto sociale. Monti ha mai visto un lavoratore che guadagna 800 euro al mese?

L’unica classe dirigente degna è quella che si fa le ossa metà giornata studiando e metà entrando nei conflitti del lavoro, nei disagi del quartiere, tra il “popolo sovrano”. Con uno scambio continuo di sapere tra élite politica e base popolare. Da quando la Sua eccellente classe dirigente, tra cui l’apparato del Suo giornale, ha dichiarato guerra ai partiti, qualcuno ha fatto più questo esercizio? Da quando Repubblica ha fatto la scoperta del partito liquido veltroniano, senza nerbo di popolo, qualcuno ha più tessuto i fili tra governanti e governati?

Ora invece Lei invece di fare autocritica ed ammettere seppure in ritardo, che sì, i partiti erano l’anello di congiunzione tra classe dirigente e “popolo sovrano”, il crogiuolo in cui si formavano ed elevavano entrambi, in cui la democrazia trasformava la massa senza qualità, per dirla alla Tocqueville, in cittadinanza attiva e consapevole, vuole eliminare il “popolo sovrano”.

Siete furbi voi di Repubblica.

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1 commento

alessandro Visalli 25 Luglio 2016 - 20:05

Più che giusto, il merito indipendente dalla procedura (e dunque dal lavoro politico e sociale nel quale si formano le élite democratiche) e quindi definito ex-ante come caratteristica propria, selezionata tramite criteri non soggetti a critica, autoevidenti, è uno dei più decisivi cuori del presente. La riformulazione dell’antico principio d’ordine degli aristoi, dei migliori per reciproco riconoscimento. Non a caso richiama Aristotele.

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