Fonte: attac
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di Marco Bersani 2 dicembre 2015
É di questi giorni la notizia che il governo Renzi si appresta ad abrogare la Legge Obiettivo sulle grandi opere, attraverso uno specifico comma inserito nel nuovo Codice degli Appalti in discussione alla Camera, dove si parla di “soppressione della Legge 443/2001”, architrave delle politiche sinora adottate dai diversi governi allo scopo di consegnare il territorio ai grandi interessi immobiliari e finanziari.
“Una legge che concede il potere al direttore dei lavori di essere nominato dall’impresa che li esegue è una legge criminogena”: così l’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, aveva definito la Legge Obiettivo non più tardi del marzo scorso.
Le semplificazioni della legge Obiettivo, con la figura del contraente generale – gruppo di imprese appaltanti che poteva scegliersi addirittura il direttore dei lavori controllando così se stesso – facevano sì che attorno alle relazioni con il concessionario per conto dello Stato o dell’ente pubblico, si creasse una «macchina» sempre più grande e potente in grado di attrarre ingenti risorse, spenderne e sprecarne, spesso condizionando, anche con la corruttela, i decisori coinvolti.
La normativa prevedeva la negazione completa delle istanze sociali interessate e anche delle rappresentanze istituzionali del territorio. Solo le regioni – e dopo apposito ricorso alla Corte Costituzionale – avevano potuto interferire nelle interazioni governo-impresa. La valutazione d’impatto ambientale non era completamente cancellata, ma molto ridimensionata: la pianificazione urbanistica poteva essere ignorata.
Come ormai noto, tale meccanismo non ha semplificato alcunché, spostando i conflitti dai consigli comunali ai tribunali o direttamente sul terreno, come in Val di Susa.
La soppressione della Legge Obiettivo – se sarà effettivamente portata a termine – è dunque una buona notizia? No, e per un semplice motivo: la cancellazione di una legge criminogena avviene solo nel momento in cui un’altra legge, ancora più criminogena, ne ha già preso il posto. Dimostrando da una parte come il ruolo delle Authority sia quello di intervenire nella stalla quando i buoi sono scappati da un pezzo e, dall’altra, di come gli interessi speculativi finanziari siano costantemente al centro dell’azione di governo.
A cosa serve, infatti, la Legge Obiettivo quando si può finalmente contare su quanto stabilito dalla nuova norma Sblocca Italia?
Lo Sblocca Italia, divenuto legge nel novembre 2014, può essere infatti definito un attacco all’ambiente senza precedenti e definitivo. Un provvedimento che condanna l’Italia all’arretratezza di un’economia basata sul consumo intensivo di risorse non rinnovabili e concentrata in poche mani. È un vero e proprio assalto finale delle trivelle al mare, che fa invece vivere milioni di persone con il turismo; alle colline, dove l’agricoltura di qualità produce vino e olio venduti in tutto il mondo; addirittura alle montagne e ai paesaggi sopravvissuti a decenni di uso dissennato del territorio.
È una norma che definisce attività strategiche non le produzioni agricole di qualità, il nostro paesaggio e i tanti impianti e lavorazioni che non provocano inquinamento, bensì i pozzi e l’economia del petrolio che, oltre a costituire fonti di profitto per poche multinazionali, sono causa dei cambiamenti climatici e di un pesante inquinamento.
Non solo: la strategia sulla gestione dei rifiuti è di nuovo affidata alle ciminiere degli inceneritori, mentre l’Italia dovrebbe puntare sulla necessaria riduzione dei rifiuti e sull’economia del riciclo e del riutilizzo delle risorse. E le grandi opere, con il loro insano e corrotto “ciclo del cemento”, continuano ad essere il mantra per questo tipo di “sviluppo”, mentre interi territori aspettano da anni il risanamento ambientale.
Si tratta di una vera e propria anticipazione nei fatti delle peggiori modifiche costituzionali, che accentrano il potere in poche mani, escludendo le comunità locali da qualsiasi forma di partecipazione alla gestione del loro territorio.
Basta una breve scorsa agli articoli della legge per rendersene conto: l’articolo 6 cancella del tutto l’autorizzazione paesaggistica prescritta dal Codice dei Beni Culturali per ogni posa di cavi (sottoterra o aerei) per telecomunicazioni; l’articolo 25 “semplifica”, e di fatto rimuove, ogni autorizzazione per “interventi minori privi di rilevanza paesaggistica”, governati ormai dal silenzio-assenso; l’articolo 17, è un inno alla “semplificazione edilizia”, con cui scompare la “denuncia di inizio attività”, sostituita da una “dichiarazione certificata”, di fatto un’autocertificazione insindacabile.
Ma lo Sblocca-Italia non si ferma qui, e introduce un meccanismo ancora più radicale, sperimentandolo con la costruzione di nuove linee ferroviarie: l’Amministratore delegato delle Ferrovie diventa Commissario straordinario unico, e ogni eventuale dissenso di una Soprintendenza può essere espresso solo aggiungendo “specifiche indicazioni necessarie ai fini dell’assenso”: si afferma così implicitamente che qualsiasi progetto, pur con qualche aggiustamento, deve sempre e comunque passare. Qualora un Soprintendente particolarmente ostinato dovesse insistere, esprimendo a tutte lettere il proprio “motivato dissenso per ragioni di tutela ambientale, paesaggistico – territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute e della pubblica incolumità”, la decisione finale e? rimessa all’arbitrio inappellabile dello stesso Commissario (articolo 1). Una sorta di “dissenso- assenso”, insomma, che vanifica il dettato costituzionale, le sentenze della Consulta e lo spirito delle leggi.
È facile individuare nello Sblocca Italia le idee forza della strategia renziana: il primato dell’economia finanziaria sulla politica; la riduzione della politica a strumento del potere; la demonizzazione della storia, come strumento per far apparire migliore tutto ciò che è “innovativo” e, ultima ma non per importanza, la divinizzazione del PIL, per cui il territorio cessa di essere l’habitat della società, per diventare una risorsa da sfruttare per costruire autostrade e altre infrastrutture per il trasporto, centri commerciali, e direzionali, grandi opere spesso inutili o addirittura dannose per gli stessi fini per cui vengono proposte, ma utili per i gruppi finanziari che ne raccolgono le rendite, spesso prodotte dal danaro pubblico.
Con lo Sblocca Italia, l’abitare smette di essere un diritto di tutti gli abitanti, quale che sia il livello di reddito, per diventare lo strumento per accrescere il valore commerciale della proprietà immobiliare, mentre gli spazi e i servizi pubblici perdono la loro caratteristica di elementi spaziali e funzionali ai quali chiunque può accedere per soddisfare bisogni individuali e sociali e diventano prestazioni erogabili da operatori interessati al solo vantaggio economico che possono trarre dal “cliente”.
Un’impostazione di questo genere non può ovviamente basarsi sul consenso: da qui la necessità di scardinare qualsiasi ostacolo si opponga al libero arbitrio dei saccheggiatori di territorio, eliminando qualsiasi possibilità di partecipazione alle decisioni da parte delle istituzioni territoriali e delle comunità locali.
La Legge Obiettivo chiude il suo ciclo di quindici anni con un gigantesco flop di realizzazione: grazie all’opposizione delle comunità territoriali in lotta. Di tutto quanto previsto dalla stessa, ad oggi è stato realizzato non più del 15% e meno di un terzo degli investimenti programmati.
Se il governo si illude che il problema possa essere superato con più autoritarismo, previsto dallo Sblocca Italia, crediamo sarà costretto in breve tempo a rivedere un’altra volta i suoi conti.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 21 di Settembre-Ottobre 2015 “Finanza & Grandi Opere 2.0”, scaricabile qui.