Sanità Pubblica senza medici

per mino dentizzi
Autore originale del testo: MINO DENTIZZI

Il Sistema Sanitario Nazionale vive una preoccupante crisi delle proprie risorse professionali che rischia di acuirsi nel prossimo futuro.

Il depauperamento del suo personale è sicuramente derivante dalla crisi economica e all’imposizione del vincolo nazionale della spesa per il personale sanitario, perpetrato nel tempo e fissato con la Legge Finanziaria del 2007 al dato del 2004 ridotto del 1.4%, che ha avuto come inevitabile conseguenza il mancato adeguamento delle dotazioni organiche.

Nondimeno, la mancanza di medici specialisti all’interno del SSN e l’accelerazione del loro pensionamento sono realtà che stanno speditamente assumendo i contorni di una vera emergenza, cui vanno messi in atto rimedi risoluti per impedire il collasso del sistema stesso.

 Tra il 2009 e il 2018 il numero di medici dipendenti a tempo indeterminato all’interno delle strutture ospedaliere e nei servizi territoriali si è ridotto di circa 10.000 unità. Nel 2015 il 67% dei medici ospedalieri aveva più di 50 anni: l’Italia ha i medici più vecchi d’Europa.

Ancora meno buone sono le prospettive per il futuro.

Secondo le previsioni dell’Anno (il sindacato più rappresentativo dei medici ospedalieri) dei 105mila sanitari adesso in servizio, nel periodo tra il 2019 e il 2025, ne andranno in pensione 45 mila. A essi vanno a sommarsi circa 7 mila medici specialisti territoriali e universitari che usciranno dal SSN. Una fuoriuscita di 52 mila medici in possesso di esperienza ed elevate capacità tecniche che hanno contribuito al buon funzionamento di strutture ospedaliere e di servizi territoriali. Le condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei servizi territoriali stanno velocemente degradando. Il blocco del turnover, introdotto dal Governo nel 2006, ha comportato che i piani di lavoro, i turni di guardia e di reperibilità siano coperti con grosse difficoltà.

Quindici milioni di ore di straordinario non pagate, numero di turni notturni e festivi pro-capite in crescita, fine settimana spesso occupati tra guardie e reperibilità, difficoltà a poter usufruire finanche delle ferie maturate descrivono le fondamenta su cui si basa oggi la sostenibilità organizzativa ed economica dei nostri ospedali. Per di più, il peggioramento delle condizioni di lavoro, con aumento dei carichi individuali, mancando anche di rispettare la normativa europea sui riposi, connesso a un sentimento di sfiducia rispetto a un possibile miglioramento della situazione, ha incoraggiato molti specialisti a lasciare gli ospedali pubblici in favore del privato o a emigrare in altre regioni alla ricerca di soddisfazioni professionali ed economiche maggiori.

Ma ancora più rilevante è la carenza che si determinerà tra i medici di base (i medici di famiglia). Secondo i dati della Fimmg (il sindacato dei medici di medicina generale) entro il 2022 andranno in pensione oltre 14 mila medici.

Ma quali sono le prospettive di rimpiazzo per il futuro?

Dal 2019 al 2025 dovrebbero specializzarsi nelle varie facoltà di medicina circa 45 mila medici: Tenuto conto dei trend storici, circa il 15% di questi ultimi andrà a lavorare nel privato o emigrerà in altre nazioni.

Nei prossimi anni in media si laureeranno circa 10.000 medici ogni anno, ma il numero di contratti di formazione post lauream, che solo nel 2018 è arrivato a circa 7.000, è da qualche tempo insufficiente a soddisfare la domanda di specialisti e di percorsi formativi rispetto al numero di laureati. Si è determinato, così, un “imbuto formativo”, che nel tempo ha ingabbiato in un limbo circa 10.000 giovani medici, che aumenteranno nei prossimi 5 anni fino a oltre 20.000.

La recente proposta di inserire i medici in formazione specialistica nelle attività d’assistenza, in particolare in servizi particolarmente delicati e rischiosi come il Pronto Soccorso e il 118, fa risaltare nuovamente la modalità emergenziale che dirige la scelta e i provvedimenti in aree di cruciale importanza per la vita dei cittadini: la sanità e l’università. Nello specifico, decisioni indirizzate a limitare la qualità della formazione dei neolaureati per servirsi di loro come rimedio temporaneo e non tutelato alle inadeguatezze del sistema sanitario configurano una dequalificazione dei suddetti servizi come pure uno svilimento del valore culturale e sociale della professione medica in ambito pubblico.

L’assenza di una programmazione condivisa fra sistema formativo e sistema sanitario ha generato nel tempo scelte fondate poco sulla visione del futuro e sui bisogni di salute della popolazione e molto, invece, sulle questioni economico-finanziarie del momento. Per esempio la Geriatria rappresenta una chiara evidenza di come, a fronte di una trasformazione storica della composizione e delle esigenze della popolazione che è andata rapidamente invecchiando, non si siano valorizzate competenze specialistiche appropriate per coordinare gli snodi ospedale-territorio-residenzialità che rappresentano oggi i nodi critici di un sistema che sta scoppiando giacché continua a dare risposte vecchie a problemi nuovi. Non a caso le enormi difficoltà che oggi sono vissute nei Pronto Soccorso sono dovute non solo alla mancanza di personale ma anche al continuo assedio di richieste, spesso non appropriate per l’ospedale ma essenziali per il paziente, di anziani che non trovano in altra sede una risposta concreta alle proprie esigenze di salute.

E’ urgente e imprescindibile, allora, un approccio strutturale che assicuri la formazione specialistica secondo la normativa europea, aumentando l’offerta formativa, anche con il supporto delle Regioni, in un’Università integralmente inserita in una rete qualificata, evitando l’impiego non appropriato dei medici in formazione come forza lavoro che metta a rischio la sicurezza e la qualità del rapporto di relazione, fiducia e cura tra medico e assistito nel Servizio Sanitario.

L’attuale sistema formativo, nella parte specialistica post lauream, se confrontato con quello degli altri Paesi Europei, si rivela arretrato e manifesta un arroccamento dell’Università che, pur di non perderne l’egemonia, è disposta a barattare la qualità formativa e la performance dell’intera programmazione di medici specialisti. Occorre apportare una modifica sostanziale all’impianto legislativo in cui risulti evidente una compartecipazione equa tra Università e Ospedali del SSN nel percorso formativo e nel controllo della qualità dello stesso.

Certamente “Una riforma difficile da fare ma impossibile da non fare”, come disse Giovanni Berlinguer riferendosi all’istituzione 40 anni fa del SSN.

Mino Dentizzi

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