Fonte: IlSudEst,it
Url fonte: http://ilsudest.it/component/content/article/90-forum/10695-2017-10-26-15-52-56.html
di Marianna Sturba – 27 ottobre 2017
Avviene che in uno stato con il PIL in (leggera) crescita, i cittadini non riescono a curarsi come dovrebbero.
Accade che mentre si declamano miglioramenti nel numero degli occupati, smentiti da più fondi, i cittadini rischiano di avere prestazioni sanitarie diverse in base alla regione in cui risiedono.
Non si parli di secessioni, di divisioni, l’Italia è un’ unica nazione solo sulla cartina geografia, gli italiani non sono tutti uguali….almeno non in sanità!
Capita che se sei in una regione con un buon pil allora hai servizi e il diritto alle cure, ma se la regione in cui vivi non ha grandi risorse allora devi anche abbassare le tue pretese.
Accade anche che le regioni a statuto speciale si rifiutano di contribuire agli obiettivi di finanza pubblica, facendo ricorso alla Consulta e lasciando un buco nel bilancio sanitario importante, incolmabile.
Con le leggi di stabilità 2015 e 2016 e la manovra di stabilità del 2017 abbiamo un taglio di 8,2 miliardi a carico delle regioni. Tutti questi fatti concatenati, penalizzano il finanziamento del Ssn, incidendo sull’assistenza e sui diritti dei cittadini. Ciò implica un abbassamento dei livelli di assistenza che rende impossibile pensare all’attuazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza). Troviamo anche tabelle che giustificano questo disinvestimento da parte del Ministero, con dati che parrebbero dimostrare una diminuita necessità di risorse.
Il governo sembra sordo anche alle richieste dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che afferma che sotto il 6,5% di PIL investito in sanità, cala l’aspettativa di vita: nel DEF la riduzione arriverà fino al 6,3 nel 2020.
Già oggi un cittadino su tre rinuncia a curarsi a causa delle difficoltà che incontra nell’accesso alle cure.
Sono stati approvati anche i nuovi LEA che però rischiano di essere fortemente depotenziati dalle misure depressive sul finanziamento del Ssn. Infatti l’Intesa tra Stato e Regioni sui nuovi Lea (7-9-2016) contava su un finanziamento per il 2017 di 113 mld, e per il 2018, pari a 115 mld. Ad oggi invece si possono considerare solo 112,5 mld nel 2017 e 113,4 mld nel 2018.
I nuovi Lea prevedrebbero, perche dato le risorse il condizionale è d’obbligo, i tre rami classici: “prevenzione collettiva”, “assistenza distrettuale” e “assistenza ospedaliera” e conterrebbero- rispetto al decreto che abrogano – una serie di novità.
Tra le principali novità, i nuovi nomenclatori su assistenza protesica e specialistica ambulatoriale: anch’essi molto attesi e in cui prestazioni tecnologicamente avanzate prendono il posto di altre decisamente obsolete. Dove non è possibile inserire liste chiuse di prestazioni, poi, lo sforzo è stato di “declinare delle aree di attività”. Per il sociosanitario, ad esempio, si elencano attività specifiche di pertinenza dei rispettivi servizi: dai dipartimenti di prevenzione ai consultori, dai Sert ai dipartimenti di salute mentale ai servizi di riabilitazione e così via. Il welfare socio-sanitario declina positivamente in livelli progressivi di intensità di cure l’assistenza prevista. Per l’Adi ai malati cronici non autosufficienti, ad esempio, si passa dal livello base all’alta intensità che corrisponde all’ospedalizzazione domiciliare. Tutto questo richiede risorse che però non sono previste da nessuna parte e si passa la patata bollente alle regioni, che con la riforma del Titolo V, sono i responsabili della Sanità territoriale.
Quindi perché inserire nei Lea tutta una serie di iniziative irraggiungibili senza l’aiuto dello stato?
Misure come i super-ticket di dieci euro sulla ricetta rischiano di essere una delle poche possibilità per far fronte alla mancanza consistente e continuativa di fondi.
Mancano i fondi anche per l’assunzione di personale sanitario, continuamente sotto organico e per il rinnovo del contratto dei dipendenti del Ssn, che necessitano nel 2018 di 700 mln di euro a regime per essere attuati, e che purtroppo, non ci sono.
Non solo le persone rinunciano a curarsi, ma alle volte non trovano nei propri territori i servizi di diagnosi e cura di cui hanno bisogno. Non si confina solo in ambito sanitario questo perenne disservizio, ma coinvolge come una spirale, altri piani e altri mondi come ad esempio il mondo della scuola. Non sveliamo nessun segreto se affermiamo che ad oggi in molte zone di Italia è difficoltoso arrivare ad una diagnosi dei disturbi dell’apprendimento che un bambino può avere, e che se il disturbo non è ufficialmente diagnosticato, non può nemmeno essere preso in carico è risolto dall’ istituzione scolastica. Non ci sono servizi territoriali di diagnosi e cura dell’età evolutiva, in grado di redigere tutte le valutazioni necessarie all’utenza accorsa. Così i genitori devono ricorrere ai centri privati che faranno diagnosi che hanno soltanto un valore indicativo, in quanto, non essendo svolta da personale di servizio pubblico, non può valere come certificazione di difficoltà oggettive. Allora il percorso si fa ancora più irto, si ha la diagnosi del privato, ma non si ha il servizio di educatori o insegnanti di sostegno a cui si ha diritto perché la certificazione che si ha, ha valore di carta straccia. Non esistono più il numero di Consultori sufficienti, gli Ospedali sono dimezzati in numero e servizi, gli ambulatori pubblici sono a “mezzo servizio” per carenza di personale, producendo un allungamento pericoloso del servizio di screening, le refertazioni di lastre e analisi avviene spesso a distanza allungando i tempi delle diagnosi all’utente, i servizi di vaccinazioni non sono più presenti in maniera capillare sul territorio obbligando i genitori ad assentarsi dal proprio lavoro per poter vaccinare i bambini…è così altro ancora.
Questi solo degli esempi delle mille contaminazioni che il SSN ha con il mondo intorno, è come un settore che non funzioni, paralizzi anche altri a cui è legato.
Prendiamo atto di una scelta politica che sembra virare verso il potenziamento della sanità privata, che va in soccorso a quella pubblica, naturalmente per trarne profitto. La sanità non può essere il luogo del profitto! Non possiamo pensare che sulle necessità delle persone si instaurino meccanismi clientelari e di introito privato.
Aspiriamo alla sanità pubblica, per tutti. Auspichiamo una sanità uguale in tutta Italia attuabile con scelte di programmazione economica coraggiose e contro la tendenza del momento.