Fonte: La Stampa
Salvini e la solitudine dei numeri due
Caro direttore, è uno strano destino quello che la politica dei nostri giorni riserva ai vice presidenti del consiglio. A quanto pare nelle ultime ore il loro buonumore non è precisamente al massimo. I due numeri due si sentono scavalcati dal decisionismo del(la) numero uno che ha gestito in perfetta solitudine il dossier albanese. Una solitudine così fitta da generare appunto un grande scontento al piano di sotto. Uno scontento che tuttavia evita di esprimersi in forme troppe esplicite. Non posso dire di non comprendere il loro stato d’animo. Una ventina d’anni fa fui chiamato anch’io a fare il vice e mi dedicai all’impresa per pochi mesi con animo non proprio entusiasta. Presidente era Berlusconi, come si ricorderà, e il mio ingresso al governo doveva servire, negli intenti dei vertici del centrodestra di allora, a rendere meno conflittuale la
nostra e mia “collaborazione”.
Quattro mesi dopo mi trovai a mettere sul piatto della bilancia i pro e i contro e, soppesati gli uni e gli altri, mi decisi a lasciare un incarico che non avevo mai desiderato più di tanto. Fu un caso del tutto anomalo, il mio -almeno credo. Prima, c’erano stati fior di vicepresidenti che avevano offerto ai loro premier una collaborazione non priva di asperità ma tutto sommato di grande sintonia. E prima ancora, in tempi di prima repubblica, altri vicepresidenti che erano stati di adamantina lealtà verso i loro leader, ancorché di altri partiti. Penso a Forlani con Craxi, a De Martino con Rumor e soprattutto a Nenni con Moro. Si dirà che allora il sistema politico era più ordinato. Che le alleanze erano più strategiche.
E soprattutto che i leader di quella stagione avevano uno sguardo più lungo e più acuto, non vivevano della concitazione quotidiana. Fatto sta che gli annali della vita repubblicana hanno nobilitato l’anomala figura del vicepremier, riservandole in molti casi un senso (e un onore) che la nostra modernità ha un po’ scalfito. Ora però, i vicepremier contemporanei si trovano in una situazione più complicata. Essi fanno fatica a rispettare fino in fondo i vincoli della disciplina.
La loro forza infatti sta nel loro collaborare, senza strappi. E il loro rischio sta semmai nel rompere e rischiare, apertamente. La via di mezzo di essere leali ma non troppo, collaborativi ma con le armi ai piedi, disciplinati ma col diritto alla controversia, in realtà, è una strada sbarrata. Tanto più in tempi nei quali la maggioranza fa del premierato la sua bandiera. Dunque, ai numeri due restano due possibilità. Stare nei ranghi. O aprire una crisi vera e propria. Capisco che il primo scenario li possa lasciare perplessi. E che il secondo li possa oltremodo spaventare. Ma è appunto questo l’amaro destino dei numeri due. Che infine esistono davvero fino in fondo, e fanno la differenza, solo quando poi accettano di potersi dissolvere.