Salute mentale e cittadinanza nelle parole del Cardinal Martini

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di Domenico Massano – 27 ottobre 2017
Il 10 ottobre si è celebrata la giornata mondiale della salute mentale. Per celebrare quest’occasione il Forum Salute Mentale ha proposto un passaggio del discorso che il Cardinal Martini aveva pronunciato nell’ambito del Convegno internazionale “La cittadinanza è terapeutica. Confronto sulle buone pratiche per la salute mentale”, svoltosi quindici anni prima, nell’aprile 2002, a Milano. In quell’occasione l’Arcivescovo di Milano, tenne un intervento di grande competenza e di rara sensibilità che, mi sembra, conserva ancor oggi intatto tutto il suo valore. Anzi, in questo periodo storico in cui i discorsi “sulla” salute mentale sembrano sempre più risolversi in contrapposizioni politico-ideologiche, spesso relative ad aspetti economico-organizzativi, ripercorrere parole che aiutano a non distogliere lo sguardo dalle persone e dai contesti in cui vivono (e di cui tutti facciamo parte), credo possa essere salutare.
Il Cardinal Martini nel suo discorso, dopo una parte introduttiva, si soffermava su alcune questioni cruciali per la vita di ognuno di noi, che ci accomunano, a prescindere dalla malattia, e da cui partire per stabilire relazioni (“terapeutiche” ma non solo), basate sul rispetto e sul riconoscimento dell’altro: “Le domande più autentiche di un malato psichico, anche se spesso inespresse o negate, non sono diverse da quelle di ciascuno: una casa, degli amici, affetti esclusivi, un lavoro, il denaro per vivere, il divertimento, il diritto di abitare una città, la possibilità di professare un credo religioso, la libertà di parlare ed esprimersi. Le sue fatiche sono invece molto più grandi rispetto a quelle di chi non soffre: le idee possono essere bizzarre e non comprese, le risposte affettive inadeguate, le reazioni inaspettate, la voce per chiedere e rivendicare i propri diritti molto debole. Tante persone affette da disagio psichico riescono a formulare così impulsivamente il loro bisogno di cura e di vicinanza da risultare aggressivi agli occhi degli altri. […] Il sofferente psichico è costretto dalla sua malattia a fare i conti con la fragilità che tutti portiamo dentro: egli in un certo senso ci insegna a dare peso alla tristezza e alla gioia, alla noia e all’attivismo esagerato, all’eccesso di lavoro e al desiderio di averne almeno uno, alla famiglia vissuta come assillante e al senso di abbandono”.
A partire da questa comunanza di sentire, di gioire e di soffrire, il Cardinal Martini restituiva all’intera società la responsabilità e la capacità di contribuire alla “cura” della persona: “La guarigione profonda dell’uomo chiede un prezzo a quella stessa società civile che non ha saputo accoglierlo, perché il benessere di una persona nella collettività è un fatto che investe tutti, che chiede tempo, energie, risorse, attenzione per il suo reinserimento sociale”.
La conclusione dell’intervento era un richiamo a una responsabilità come singoli e come comunità, all’interno sia dei contesti terapeutici sia, soprattutto, di quelli “cittadini” e comuni: “Siamo chiamati a immaginare e quindi a realizzare nella concretezza il profilo di una città abitabile, dove non ci si senta indotti a vivere la paura dell’altro ma se mai la gioia dell’incontro e il desiderio di sperimentare relazioni positive”.
Credo che nell’odierna situazione della Psichiatria, ricordare le parole del Cardinal Martini, in cui non è difficile rintracciare diversi contributi “basagliani”, possa rappresentare, almeno in parte, un’occasione per non dimenticare sia la centralità della partecipazione delle persone con disturbo mentale alla costruzione dei propri percorsi di vita, sia il loro valore nel ricordarci le nostre fragilità in una società in cui, sempre più, le contraddizioni portate dalla malattia, dalla disabilità, dalla povertà, dalle migrazioni, sono sempre meno assunte e affrontate in un’ottica comunitaria e, troppo spesso, sono addossate alle persone, i cui bisogni rischiano di essere trasformati in colpe. (vai al testo integrale intervento …)
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