Rubare a casa dei ladri

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Antonio Napoletano
Fonte: facebook

di Antonio Napoletano – 4 settembre 2014

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Fino a pochi minuti fa (ore dieci AM) Gianni Cuperlo non aveva nulla da dire su quanto sta accadendo nel suo partito dopo le ripetute dichiarazioni di Massimo D’Alema e prima ancora, anche se in forma rapsodica, come è nel suo stile, dal buon Bersani. 

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Campeggia nella pagina cuperliana di Fb una sua articolessa, dove, inaspettatamente, si legge il panegirico delle misure assunte dal governo. Sebbene si tratti – come è stato ripetutamente sottolineato dalla totalità dei commentatori – di un pallido stralcio rispetto alle tonitruanti anticipazioni (eh sì) del nostro Leccatore di gelati.
Faccio questa osservazione, non perché particolarmente interessato (ormai non più!) al pensiero di Gianni Cuperlo, ma per chiederne ragione ai quei mohicani del PD,che ancora coltivano l’illusione di una sorta di anabasi destinata a riuscire delle minoranze interne. Prima o poi, secondo costoro, sfiancate ma integre, esse sono destinate a compiere la lunga traversata.
Metto insieme a questa notiziola sul parlar d’altro cuperliano, a quelle ben più significative sugli scambi – chiamiamoli così – che si sono avuti a ridosso delle uscite dalemiane , cosa per la quale il quadro risultante, checché ne pensino i mohicani, mi appare ed è devastato e desolante. 
Senza speranza.
Perché questo si evidenzia a tutto tondo: il PD in formato renziano ha, per così dire, portato a compimento la maledizione sovrastante la stessa nascita dell’ “amalgama mal riuscito”.

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Questa specie di partito, infatti, non ha e non ha avuto finora capacità di dibattito interno. Chi lo dirige è da sempre contornato da un coro muto, che al più nei momenti topici, s’è limitato a mugolare, lasciando a pochi ‘disperati’ e stravaganti il compito di qualificarsi come inutile opposizione. E’ come se lo scambio di analisi, proposte, valutazioni gli fossero interdetti per ‘natura’, non esistendo né l’abitudine, né il ‘protocollo, diciamo così, a quella dialettica interna che fa di un partito la risultante mobile del rapporto tra maggioranza e minoranza. Dai ‘caminetti’ ai complotti e su su fino alle direzioni unanimi o quasi unanimi, dove per ‘responsabilità’ o enigmatico silenzio, le scelte, le decisioni, sono sempre state assunte con ampio margine di indeterminatezza e mai con una approfondita disamina ed evidente emergere di ciò che separava la maggioranza dalla minoranza. Insomma, è sempre prevalso nella sostanza un unanimismo inconcludente, più versato nella spartizione che nella definizione di responsabilità, di differenze, di contraddizioni.

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Ne fanno testimonianza oggi le bordate devastanti i rapporti interni e la stessa capacità di valutazione della portata e della sostanza del contendere messe in mostra dalle reazioni insorte contro le dichiarazioni dalemiane. Così, se una festa nazionale di partito si può fare a prescindere dalla presenza o meno dei leader delle opposizioni interne, non siamo di fronte alla sbadataggine di qualche funzionario esausto per il troppo ‘lavoro volontario’, quanto piuttosto alla ratifica con massima evidenza di una concezione e pratica interne incapaci strutturalmente di concepirsi e attuarsi nel rispetto di una dialettica fisiologicamente accettata e aperta, trasparente, funzionalmente vitale alla crescita complessiva del quadro dirigente, degli iscritti e finanche degli elettori. 
Del resto, un partito retto da ‘fiduciari’ del Capo giunto a questo livello di degrado della vita interna e del suo modo d’ammettere o meno diversità e punti di vista, non è una novità, né è cosa che possa auto correggersi nella normalità funzionale dei meccanismi interni di produzione dei gruppi dirigenti. E il silenzio, l’accodamento intervenuti da sei mesi a questa parte non migliorano, non cambiano di segno a una resa perché Bersani o D’Alema oggi dichiarano. Dunque, c’è poco da essere ottimisti. Il PD di Renzi resisterà fino all’implosione contro coloro che ne volessero, ora e a cose fatte, verificarne natura, strumenti, linea. Giacché il rifiuto a farsi minoranza, che si oppone e propone, perduto il tempo necessario per manifestarsi in modo limpido e distinto come ragionevole alternativa all’esistente, avendo preferito invece considerarsi mera variante dell’esistente, diverso ‘punto di vista,’non ha più né il tempo né la capacità di argomentare e farsi ciò di cui ci sarebbe bisogno, ma solo quella, al più, di testimoniare stati d’animo, un disagio, umori più propensi a illustrare casi e storie personali che a farsi interprete credibile di un’azione collettiva.
Con il che, come si sa, non si va da nessuna parte. Anche perché ancora non s’è visto che sia possibile rubare a casa di ladri.

massimo

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