Roma salva

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 14 novembre 2018

La foto del Foro Romano (colta al volo stamattina dal Belvedere Tarpeo in un bel sole azzurro e nei fumi della bruma del dì che sorge…) ha suscitato un commento molto, ma molto stimolante di Stefano Di Traglia, che sottolineava come a Roma la contemporaneità si sia fermata all’Auditorium (e all’Ara Pacis, alla ‘nuvola’ di Fuksas oppure alla Stazione Tiburtina) mentre a Milano (per fare un raffronto) il contemporaneo con le sue novità sia un gesto quasi quotidiano. Vero. Roma non è una città che cresce nella sua area più pregiata, in questi anni recenti, con nuova architettura e nuovi progetti. Le sue foto, come dice Stefano, sono più o meno sempre le stesse, come se l’album coincidesse con i libri di storia, o si fosse fermato alle cronache nemmeno recenti. Roma non è, per certi aspetti, una città contemporanea, non vive di contemporaneità. Mi chiedo, allora, a cosa ci riferiamo realmente? Cosa intendiamo, per essere chiari, quando parliamo di contemporaneità? Pensiamo oggettivamente ai beni, alle cose, agli edifici? Oppure soggettivamente a gesti, pratiche, attività e iniziative? La differenza non è di poco conto. La città contemporanea deve sempre produrre nuovi oggetti urbani, oppure si interpreta (o reinterpreta) a partire dal proprio patrimonio, e magari lo cura, lo mantiene, lo proietta verso il futuro? In sostanza: che idea di città abbiamo? Che idea di contemporaneità?

Dico la mia in modo provocatorio. Se gettiamo uno sguardo su Roma e sul suo immenso patrimonio architettonico, storico, culturale, monumentale, difficile persino da censire, forse ci rendiamo conto come esso saturi già da solo la domanda di oggetti urbani, forse già da solo impegni in modo definitivo e integrale la città. È come se duemila anni fa il carattere edilizio e architettonico dell’urbe fosse già stato deciso per sempre, come se il rinascimento e il barocco avessero completato l’opera e poi, nella modernità, i nuovi edifici fosse venuti a integrare un panorama già integrato di per sé in termini pressoché definitivi. Tal che ai contemporanei, dunque, non resterebbe che esercitare la propria contemporaneità come pratica di cura, manutenzione, conservazione. In un certo senso, proiettando questo patrimonio nel futuro senza doverne aggiungere di nuovo, senza saturare ulteriormente lo skyline con nuovi profili e nuovi edifici magari di incerta utilizzazione. Troppo riduttivo? Non credo. Roma da sola è quasi tutto il patrimonio storico-archeologico del mondo, un carico quasi insopportabile per una città moderna. Tant’è vero che è di difficile e complessa gestione, aprendo contraddizioni tremende con tutto il resto della modernità (il traffico, il carattere di metropoli, la massa dei turisti, l’inquinamento, lo sprawl, l’uso quotidiano della città). L’Auditorium è una grande cosa, ed è giusto che sia stato realizzato, ma quanto sposta nei confronti di una città che già annovera il Colosseo, con sei milioni e mezzo di visite annuali? E quanto sposta (in termini di ‘valore’ urbano) la ‘nuvola’ rispetto al Foro? E l’Ara Pacis rispetto a San Pietro? Poco, pochissimo.

Che compito hanno gli amministratori di questa città (e il governo per primo, invece di invocare stupidamente ‘Roma Ladrona’)? Quello di ‘salvare’, ogni giorno che Dio manda in terra, la più bella città del mondo, la più ricca di storia, la più suggestiva, la più mitica, la più rappresentativa. Un unicum che gli altri se lo sognano, per quanto sventrino i propri spazi urbani e li reinventino periodicamente, come se la storia e l’identità fossero fatti di plastilina. Il ‘contemporaneo’ a Roma è, sì, qualche segno architettonico più recente, è si anche ‘produzione’, ma deve essere soprattutto (e non è) quasi per intero cura, manutenzione, conservazione. Il Sindaco di Roma, il governo di questo Paese hanno dunque la responsabilità storica di proiettare sano e salvo nel futuro il nucleo storico-urbano più importante di sempre, una specie di miracolo che ha ‘traforato’ molte epoche storiche ed è giunto agli attuali contemporanei. Lo facciano con la dovuta umiltà, passione e dedizione. Si tratta di salvare Roma dalla modernità, detto brutalmente, di garantire che i secoli non siano trascorsi invano. Troppo facile alzare grattacieli o torri oppure demolire e ricostruire, magari pescando risorse negli investimenti privati. Più difficile è ‘salvare’ questo immenso patrimonio dalla furia della modernità, consegnando in tal modo al futuro una memoria che non ha prezzo. Non una città museo, ovviamente, perché questo patrimonio va vissuto, dai cittadini ancor prima che dai turisti. Ma guai a immaginare il passato come un residuo (per quanto prezioso) e il contemporaneo come la sola e unica opportunità (non mi riferisco ovviamente a Stefano). ‘Salvare’ Roma è già un’idea di città. E si sa che, senza un’idea di città, non si governa alcunché, tanto meno la storia di una grande civiltà, riassunta mirabilmente in un patrimonio di beni sconfinato.

PS, altro discorso ovviamente per le periferie urbane e per Non Roma. Ma su questo ci tornerò in un altro post.

(1) Stefano di Traglia : Hai ragione Alfredo. Il problema è che è sempre la stessa foto. Anche io ieri ho fotografato via dei fori imperiali. A Milano, per esempio, il simbolo son diventati piazza gae aulenti e i nuovi grattacieli. Insomma, una cosa contemporanea. A Roma siamo rimasti all’auditorium. Ma non perdiamo la speranza. Abbracci

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