Fonte: gli stati generali
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di Alessandro Coppola 5 settembre 2016
Sapevamo che a Roma l’amministrazione del M5s avrebbe rappresentato un esperimento senza precedenti. Cosa succede quando una forza politica del tutto nuova, priva di referenti sociali organizzati e di meccanismi rodati di reclutamento della classe dirigente conquista il potere nella più grande città del paese? Per la verità ci sono dei precedenti, sebbene non egualmente rilevanti, con la conquista di Milano da parte della Lega Nord nel 1993 e di altre importanti città, ma non Roma, da parte di Forza Italia negli anni successivi. Ma si trattava ad ogni modo di casi diversi, in entrambi – e soprattutto nel secondo – non ci si era affatto vergognati di reclutare il nuovo personale politico e amministrativo fra i partiti della prima repubblica, nell’azienda del fondatore oppure fra gli “specialisti di area”. Nel caso del M5s l’azienda è troppo piccola, gli specialisti di area – data la sua natura anti-establishment – scarseggiano e la condanna dell’esistenza stessa della classe politica – fondamentale nella sua ideologia, ancillare in quella di Lega e Forza Italia – non permettevano quel tipo di reclutamento.
Per ora, a pochi mesi dall’avvio dell’esperimento M5s al Campidoglio, riguardo questa questione sappiamo quanto segue.
Nelle amministrazioni municipali, la cui rilevanza è inferiore a quella di un comune ma superiore a quella delle tradizionali circoscrizioni, il m5s è stato conseguente: le giunte sono state formate in gran parte ricorrendo a cittadini senza nessuna esperienza amministrativa o pubblica di rilievo. Qui ci siamo avvicinati a un modello da primo sovietismo ed è stato affermato il principio – centrale nell’ideologia del m5s – secondo il quale i cittadini sono tutti intercambiabili e che non solo non esiste la rappresentanza tradizionalmente intesa e con essa la specializzazione dell’attività di rappresentanza ma che anche chi deve dirigere l’attività amministrativa puo’ essere selezionato sulla base dello stesso principio. Di fatto, si è perseguita la distopia – o utopia, dipende dai punti di vista – del sorteggio con altri mezzi, considerando il numero talvolta ridottissimo delle preferenze con cui alcuni di questi consiglieri, poi trasformati in assessori, sono stati eletti. Comunque interessante il riferimento agli specialismi ed al sapere tecnico. Se non ricordo male, in un’amministrazione municipale, il Presidente ha nominato un dipendente di banca assessore al bilancio, un’insegnante alla scuola e un ingegnere all’urbanistica: una forma di specialismo minimalistico del quotidiano come criterio di selezione e fonte di legittimità dei nuovi poteri.
A livello comunale sono successe invece le cose più interessanti e, da un certo punto di vista, sorprendenti. Radicalizzando una tendenza osservabile nell’insieme delle amministrazioni locali, il m5s ha rinunciato ai principi rivoluzionari che pare aver rispettato nel caso dei municipi. La linea scelta – sebbene a quanto pare non con il consenso di tutti – è stata quella opposta: al Campidoglio non si sono insediati dei cittadini intercambiabili – il m5s è rappresentato solo da Sindaco e Vicesindaco – ma degli specialisti o per peggio dire dei “tecnici”, per come sono definiti dall’ingannevole neo-lingua politica degli italiani. Alcuni sono degli specialisti attivi in città da anni e addirittura con un ruolo nell’opinione di sinistra, altri hanno avuto ruoli anche nazionali in determinate aree di policy, infine altri ancora sono – o erano – figure attive in qualche tecno-struttura pubblica e semi-pubblica. In particolare, ad attirare l’attenzione e’ il coinvolgimento di chi proviene da corti e organi di sicurezza – ora si parla di un generale dei carabinieri a capo di gabinetto – secondo una tendenza generalizzata e considerata come non problematica nel dibattito pubblico.
Guardando all’ultima fattispecie, sembra si tratti del proseguimento del commissariamento con altri mezzi – linea cui, chissà, forse si è opposta Virginia Raggi – fatto di giudici, forse militari e alti funzionari, tutte categorie opportunamente sottratte all’universale condanna dei ceti dirigenti da parte del m5s. Tecnocrati – non specialisti d’area, politicamente situati – che potenzialmente possono liberamente realizzare un loro personale programma di governo, valorizzando il loro sapere tecnico e procedurale e le relazioni stratificatisi nel corso di una lunga vita professionale. Se questa tendenza era evidente con la degenerazione notabilare dei partiti, con il corso tecnocratico del m5s accelera ulteriormente: inseriti a freddo in una giunta di cui non conoscono gli altri membri, liberi dai condizionamenti di qualsiasi pur debole organizzazione politica e dai suoi referenti sociali – che trattandosi del m5s programmaticamente non esistono – questi tecnici godono teoricamente di una libertà d’azione senza precedenti. Il caso grottesco dell’Assessore all’Ambiente e’ una rappresentazione perfetta di questa situazione parossistica. In questo quadro, e non solo per le polemiche sugli stipendi, grande rilevanza e visibilità assumono figure – il capo di gabinetto, ma caso ancor più paradossale, il capo segreteria del Sindaco – che in normali tempi amministrativi sarebbero sostanzialmente invisibili. Questa visibilità e’ sicuramente funzione del disastro etico ed organizzativo dell’amministrazione capitolina – il capo di gabinetto, un giudice, doveva “garantire la legalità” – ma e’ anche funzione, nuovamente, della fine del governo politico delle città per come lo avevamo conosciuto, con tutti i suoi limiti, in anni recenti.
Complessivamente, e ovviamente non solo per l’attuale congiuntura amministrativa, Roma appare oggi come una città compiutamente post-politica e post-democratica. L’unica città europea delle sue dimensioni nella quale non esistono partiti organizzati, rappresentanze organizzate di interessi in grado di tematizzare in modo minimamente adeguato il rapporto fra i propri interessi e la traiettoria di sviluppo della città, istituzioni culturali capaci di promuovere elaborazioni strutturate e durevoli sulla città. Una città nella quale perfino le classi medio-alte hanno del tutto rinunciato alla politica organizzata e una parte rilevante dell’opinione pubblica urbana ritiene più o meno consapevolmente che la città, in effetti, non vada affatto governata. Uno scenario perfetto per il dilagare di interessi opachi, corruzione e criminalità – ma si sa che per contrastarli, nell’opinione corrente, bastano giudici e forze dell’ordine – proprio nel momento in cui il discorso pubblico parla esclusivamente di interessi opachi, corruzione e criminalita’.
Chi voglia viceversa ripoliticizzare la città dimentichi le cronache e si metta di buzzo buono a predisporre un programma di lavoro almeno decennale. Un programma che crei, condivida e diffonda nuove conoscenze pubbliche sulla città, che metta assieme mondi sociali diversi che oggi si ignorano e che generi qualche episodio significativo di azione collettiva. Solo così potremo sperare di sottrarre Roma al suo destino post-democratico.