Fonte: keynesblog
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“… la guerra ha sempre provocato un’intensa attività industriale. Nel passato la finanza ortodossa ha considerato la guerra come l’unica legittima scusa per la creazione di occupazione tramite la spesa pubblica. Lei, signor Presidente, dopo aver gettato via tali catene, è libero di impegnare nell’interesse della pace e della prosperità la tecnica che finora è stata consentita solo per servire gli scopi della guerra e della distruzione”.
Così si esprime John Maynard Keynes nel 1933, quando, scrivendo al Presidente F. D. Roosevelt, lo sollecita a intraprendere immediatamente i programmi di spesa pubblica del New Deal. Roosevelt segue il consiglio, ma poi nel suo secondo mandato cerca di far tornare il bilancio in pareggio. Un errore che riporta l’America in recessione.
Sempre dello stesso anno è The Means to Prosperity in cui Keynes espone lo stesso concetto:
Alcune persone ciniche che hanno seguito fin qui il ragionamento concluderanno che soltanto una guerra può far cessare una grossa depressione. Perché fin qui la guerra è stata l’unico oggetto di stanziamenti statali su larga scala giudicato rispettabile dai governi. In pace, invece, essi sono timidi, iperprudenti, poco convinti, privi di perseveranza o decisione, uno stanziamento è visto come una passività e non come un anello nella trasformazione in utili capitali fissi delle risorse in eccesso della comunità, risorse che altrimenti andrebbero sprecate.
Nel 1936 Keynes pubblica la Teoria Generale. La guerra è elencata tra le cause di aumento della ricchezza nazionale, quando esistono risorse inutilizzate:
La costruzione di piramidi, i terremoti, perfino le guerre possono servire ad accrescere la ricchezza, se l’educazione dei nostri governanti secondo i princìpi dell’economia classica impedisce che si faccia qualcosa di meglio.
Da lì a poco sarebbe iniziata la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1939, parlando alla radio, Keynes spiega che sì, la guerra è un rimedio alla disoccupazione, ma come del 1933, ricorda ancora una volta che la stessa lezione va applicata anche in tempo di pace:
Il Grande Esperimento è iniziato. Se funziona, se le spese per gli armamenti cureranno realmente la disoccupazione, prevedo che non potremo mai tornare indietro alle vecchie abitudini. Il bene può venire dal male. Se siamo in grado di curare la disoccupazione per lo spreco rappresentato dagli armamenti, possiamo curarla per i fini produttivi della pace.
Sono passati più di 80 anni dalla lettera di Keynes a Roosevelt, ma ancora oggi occorre constatare che i politici giudicano appropriato spendere in deficit solo se si tratta di fare una guerra (o di salvare le banche). E così, per combattere l’ISIS, il presidente francese Hollande – lo stesso che che aveva sostenuto che “l’offerta crea la sua domanda“ – diventa improvvisamente keynesiano e invoca libertà di spesa per gli armamenti: “Il patto per la sicurezza prevale sul patto di stabilità”. E l’Europa, per bocca del presidente della commissione Juncker, lo accontenta: “La Francia e altri Paesi dovranno stanziare risorse supplementari e queste non devono essere trattate come le spese ordinarie secondo il Patto di Stabilità. Servono mezzi straordinari per risposte straordinarie”.
“Circostanze straordinarie” che evidentemente non valgono per scopi produttivi in tempo di pace: non si può sforare il 3% se si tratta di riportare al lavoro i disoccupati, neanche se sono un quarto della forza lavoro come in alcuni paesi europei; non si può sforare il 3% se si tratta di ammodernare le strade, investire nell’istruzione, assumere medici e infermieri. Tutto questo non è finanziariamente oculato secondo i parametri della vecchissima Europa.