Fonte: Il Fatto Quotidiano
“Rimani”. Conte fermato dai 5S: “Cambio regole”
L’avvocato che ha messo sul tavolo le dimissioni (anche) per rinserrare i ranghi lo dice dritto, davanti ai parlamentari: “Io sono il primo a volersi mettere in discussione, il mio ruolo è e resterà sempre funzionale alla comunità”. Tradotto, il Giuseppe Conte ferito dalle urne ha pensato al passo indietro, ma resterà presidente, leader. E per tenere calmi i suoi promette “un’assemblea costituente sulle regole, con tutti gli iscritti”. Partendo da modifiche all’odiatissimo totem dei due mandati, fino alla possibile abolizione delle parlamentarie, la selezione tramite web dei candidati. E loro, i parlamentari riuniti in serata in assemblea congiunta alla Camera, anche quelli perplessi o arrabbiati, gli rispondono che va bene, certo, il capo deve restare lui, e l’assemblea è una buona idea. Ma il fastidio per il Conte troppo accentratore emerge, eccome. Assieme ad altre scorie.
Il senso della giornata del M5S precipitato nell’inferno del 9,99 per cento sta soprattutto qui. Nel Conte che voleva sentirsi dire dai suoi sulle agenzie di stampa e nelle varie assemblee che al vertice vogliono ancora lui. Proprio l’ex premier, che ha trascorso il suo martedì facendo riunioni fino alla congiunta con gli eletti, ventilando ai suoi di sbarazzarsi delle parlamentarie, e soprattutto ventilando novità sul vincolo dei due mandati.
L’idea è di recuperarli innanzitutto nelle strutture di partito, come già iniziato in questi anni. Per poi intervenire sulle elezioni locali, permettendo ai parlamentari che abbiano esaurito due legislature di candidarsi come sindaci. Su questo Conte ebbe già il via libera di Beppe Grillo, il Garante, con cui ieri si è finalmente sentito, dopo giorni di ostentato silenzio da parte del fondatore. Nessuna vera indiscrezione sul colloquio, ma anche Grillo avrebbe suggerito una maggiore collegialità. “Però Beppe resta contrario a toccare la regola dei mandati per i parlamentari” racconta una fonte di peso. Il fondatore lo aveva ribadito anche alcune settimane fa agli eurodeputati, a Bruxelles: “Non si può toccare, ci differenzia dagli altri partiti”. Difficile fargli cambiare parere. Un ostacolo in più, per il Conte a cui tutto il corpaccione parlamentare chiede di abolire l’ultimo totem. Una regola che ha esatto sulla fragilità delle liste per le Europee, zeppe di sconosciuti. Lo raccontano i numeri nelle urne, lo confermano le sensazioni raccolte dall’istituto Demopolis, secondo cui per il 58 per cento degli elettori del M5S a incidere sul crollo elettorale è stata innanzitutto l’assenza di candidati riconoscibili, mentre per il 40 per cento, ed è un dato per certi versi più interessante, ha pesato anche la minore presenza sui territori del M5S, che pure promette da anni un maggiore radicamento territoriale.
Nell’attesa, Conte passa la giornata a tastare il polso ai suoi. In mattinata incontra in via riservata gli otto neo-eletti in Europa. E dice la sua sulle ragioni della disfatta: “Il Pd aveva campioni di preferenze, e Giorgia Meloni è riuscita a polarizzare il voto con Elly Schlein, proprio come voleva”. Invece il Movimento ha pagato anche la sua diversità, fa capire: “Io non mi sono candidato, perché non potevo essere eletto”. Poi dice che in qualche modo i doppi mandati potranno essere recuperati – “magari nelle segreterie” – e invoca: “Diciamoci e ditemi in faccia cosa non va”. Così riassume, mentre sulle agenzie i parlamentari lo implorano di restare al suo posto. “Conte non può essere messo in discussione”, sostengono. È la reazione agli articoli di ieri del Fatto sulle sue possibili dimissioni. Conte incontra altri eletti, sente altri big. Consulta, ascolta. “La botta l’ha sentita, si vede, ma non mollerà”, riassume un veterano. Si scivola fino alla congiunta alla Camera, all’ora di cena. L’ex premier arriva, e scherza con i cronisti: “Dimissioni sul piatto? Sì, della cena…”. Dentro, invoca “una sana autocritica”. Ma morde: “Noi non abbiamo fatto casting per le liste, piuttosto ciascuno di noi deve chiedersi se ha messo il necessario impegno nella campagne elettorale”. E il Pd? “Noi non saremo mai il junior partner di nessuno” giura. Anche nella notte più difficile