Rifugiati: l’ombra della Conferenza di Evian del 1938 aleggia sull’Europa del 2015

per Gabriella
Fonte: www.lantidiplomatico.it
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La puntata del programma di Gad Lerner Fischia il vento andata in onda il 25 novembre 2015 su laEFFE  La storia si ripete. Storie di migranti fra il 1938 e il 2015  ci offre lo spunto per rileggere una pagina di storia forse poco conosciuta ma molto significativa e di grande attualità, la Conferenza di Evian del 1938. Abbiamo fatto una piccola ricerca e vi proponiamo due articoli, buona lettura.  

da l’antidiplomatico   17 settembre 2015

Uno dei pochi successi della Conferenza di Evian fu “la nascita di un diritto dei rifugiati”

L’Europa è davvero progredita in settant’anni? Riguardo alla sua capacità (!) di ospitare rifugiati in fuga da guerre e persecuzioni basta ricordare l’anteguerra. Allora si trattava di decine di migliaia di tedeschi e austriaci in fuga dal nazismo. Se le situazioni non sono identiche, la questione dei rifugiati, la riluttanza di alcuni e la volontà di molti di trovare soluzioni più umane, riporta al 1938. In quell’anno si teneva in Francia la conferenza di Evian, con il compito di decidere il destino di questi nuovi migranti. Da un articolo di Basta!

“Ho il privilegio di ricevere nella terra di Francia, terra di asilo e di libera discussione, il Comitato intergovernativo per i rifugiati che ha risposto ad un appello emotivo. La Francia rimane fedele alle sue più antiche tradizioni di ospitalità universale”. Il delegato francese Henri Berenger, aggiungendo che il suo paese intende “contribuire al limite delle sue risorse “all’afflusso di rifugiati, anche se la situazione è arrivata “al punto estremo di saturazione “.

Si tratta di una delle riunioni intergovernative tenutasi nel settembre 2015 per rispondere all’afflusso di profughi siriani alle porte dell’Europa? No, siamo nel luglio 1938 a Evian. La città termale ospita una conferenza della Società delle Nazioni – precursore delle Nazioni Unite – per decidere sulla sorte di decine di migliaia di profughi tedeschi e austriaci, per lo più ebrei –  32 delegazioni – 9 europee, 20 dell’America Latina e tre dei paesi del Commonwealth – sono presenti sul lago di Ginevra.

Il 1938 è un anno spartiacque che deciderà il destino di un continente. Con l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania per formare la “Grande Germania” nel 1938, ai 500.000 ebrei tedeschi, si aggiungono i 250.000 ebrei austriaci. In questo contesto, la questione dei rifugiati – sulla quale il diritto internazionale deve ancora pronunciarsi – diventa un problema europeo e mondiale. Ma il momento in cui l’immigrazione era la benvenuta per ricostruire i paesi martoriati dalla orima guerra mondiale è finita. Nel 1932, la Francia ha istituito preferenza nazionale nel mercato del lavoro e ha determinato la quota di lavoratori stranieri nelle imprese.

A seguito dell’Anschluss, solo poche migliaia di ebrei trovarono rifugio in Svizzera, che, prima della chiusura delle altre frontiere europee, ripristinò un visto, su cui chiese di apporre, un paio di mesi più tardi, una grande J rossa, al fine di identificarli meglio. Otto decenni più tardi, i profughi siriani arrestati nella Repubblica Ceca sono contrassegnati con un numero sulla mano. Danimarca e Austria stanno chiudendo il loro collegamento ferroviario, la prima con la Germania, la seconda con l’Ungheria.

Nel luglio 1938, per i profughi ebrei che non preferivano la Palestina o un paese coloniale lontana, l’America Latina e il Commonwealth erano l’ultima speranza. Le risposte non si fecero attendere: “Non abbiamo nessun vero problema razziale in Australia e non siamo disposti a importarlo e favorire una vasta immigrazione straniera”. Il delegato canadese al quale era stato chiesto il numero di rifugiati che il suo governo eveva intenzione di ospitare, rispose:” Uno solo sarebbe già troppo”.

Settanta anni dopo, Xavier Bertrand, sindaco di Saint Quentin (Piccardia), dice la stessa cosa: “La città di Saint-Quentin, non ospiterà nuovi profughi”, ha detto l’8 settembre. ” Bisogna riportarli nei loro paesi, anche organizzare zone umanitarie dove sono al sicuro “, ha aggiunto Marine Le Pen.” Se dobbiamo accettare i profughi di guerra, dobbiamo accoglierli per tutta la durata guerra e poi rimandarli a casa”, secondo Nicolas Sarkozy, 13 settembre.

Nel 1938, l’unica eccezione fu la Repubblica di Santo Domingo, che si offrì di ospitare 10.000 ebrei.

Uno dei pochi successi della Conferenza di Evian, la Conferenza della vergogna, è “lo sviluppo di un diritto dei rifugiati”, dice lo storico Caterina Nicault. Ma il problema si sposta, continua, sule condizioni che rendono un migrante un richiedente asilo. Alla luce della crisi attuale, non è l’unica notizia di questo episodio ingloriosa. Il processo di Khartoum, avviato nel novembre 2014 a Roma con il coinvolgimento e il sostegno dell’UNHCR, propone la gestione comune dei flussi migratori con i paesi d’origine – alcune delle quali, come l’Eritrea, sono regimi totalitari  dove prigionia e lomicidio sono parte degli strumenti ordinari di governo.

Di fronte alla crisi siriana – che, ricordiamo, esiste dal 2011 – e l’afflusso di rifugiati in Grecia, il tentativo di stabilire le quote da parte dei paesi europei si è risolto in un fallimento.

Con la creazione annunciato di “hotspots” per distinguere tra “rifugiati” e “migranti economici” – che saranno scortati immediatamente nel loro paese d’origine – l’Europa conserva le categorie che hanno mostrato tutti i loro limiti. Tutti i migranti hanno in comune una grande insicurezza materiale, anche quando hanno alle spalle una solida preparazione accademica e un buon tenore di vita.

Condizioni di vita disastrose, indipendentemente da quale sia l’origine, sono il motivo principale della partenza dove ci si gioca tutto,  compresa la vita. In un documentario di Michel Vuillermet dedicata alla Conferenza di Evian, una vittima della persecuzione antisemita nella Germania nazista dice: “Per emigrare bisogna essere molto poveri e non avere nulla da perdere o essere molto coraggiosi. ” 

 oggi, di questa storia e dei suoi insegnamenti credo ci sia veramente bisogno…
 

da www.annapizzuti.it

Dalla conferenza di Evian (1938) alla conferenza delle Bermude (1943)

Gli ebrei europei e tutti gli altri membri di differenti nazionalità o religioni che immediatamente prima dello scoppio della seconda guerra mondiale o durante la guerra stessa hanno cercato rifugio in paesi che sono rimasti non coinvolti nella guerra si sono dovuti scontrare con le politiche immigratorie che non tenevano alcun conto della drammaticità della situazione e che contrapponevano alla disperazione dei fuggitivi norme inesorabili ed insormontabili, finendo per limitare fortemente le possibilità per la loro salvezza e sopravvivenza.

L’intreccio di motivazioni legate sia alla politica estera – non ultima, negli anni prima della guerra, la scelta, di mantenere proficue relazioni economiche con la Germania – sia a quella interna – il timore di masse di profughi indigenti da accogliere e sostenere – impediva di sviluppare una chiara politica per la salvezza dei rifugiati ebrei. Nelle dichiarazioni ufficiali non mancavano espressioni di solidarietà e di partecipazione, ma concretamente ben poco veniva fatto .

Un chiaro esempio è costituito dalla conferenza tenutasi ad Evian dal 6 al 15 luglio del 1938.

Dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania nel marzo 1938, le nazioni dell’Europa Occidentale e delle Americhe temettero un flusso incontrollato di rifugiati. Circa 85.000 profughi ebrei raggiunsero gli Stati Uniti tra il marzo di quell’anno e il settembre del 1939, ma furono comunque in numero molto inferiore a quello di chi cercava di mettersi in salvo. Alla fine del 1938, 125.000 persone fecero la fila fuori dai vari consolati americani nella speranza di ottenere uno dei 27.000 previsti dalle leggi sull’immigrazione. Entro il giugno del 1939, il numero di domande salì a più di 300.000.

Fu proprio allo scopo di trovare una qualche soluzione a questo drammatico fenomeno che il governo degli Stati Uniti decise di convocare una conferenza internazionale alla quale parteciparono trenta nazioni e che si tenne nella cittadina francese di Evian tra il 6 e il 15 luglio 1938.

La conferenza di Evian si proponeva di rispondere a un interrogativo ricorrente, sia tra gli ebrei che tra le autorità incaricate di far fronte al crescente afflusso di profughi: ci si chiedeva dove i perseguitati potessero trovare accoglienza e insediarsi stabilmente, senza che la loro presenza comportasse problemi di convivenza con altri popoli o gravasse sull’economia delle nazioni che li ospitavano.

In ogni modo ciò che più sembrava contare per la comunità ebraica internazionale era il fatto che ci si fosse finalmente resi conto della brutalità delle persecuzioni naziste e della sofferenza inflitta agli ebrei e ad altre minoranze e, inoltre, che si fosse riconosciuta la dimensione mondiale del problema dei rifugiati.

Varie organizzazioni ebraiche presentarono loro proposte. Si chiedeva che fosse agevolata l’immigrazione ebraica in Palestina, rivedendo i limiti previsti dal Mandato britannico, creando la possibilità di nuovi insediamenti in aree non ancora sviluppate (Negev, Transgiordania) e permettendo agli ebrei di portare con sé i loro capitali.
Veniva poi fornita una stima dei costi dell’evacuazione di circa mezzo milione di profughi dalla Germania e si insisteva sulla necessità di raggiungere un accordo con la Germania per consentire lo spostamento di capitali ebraici.
Inoltre i rappresentanti delle comunità ebraiche premevano per la costituzione di un comitato inter-governativo permanente, che, in collaborazione con le associazioni di volontariato, si occupasse degli aiuti ai rifugiati, e di una organizzazione per la raccolta di fondi da destinare agli emigranti. Particolare attenzione veniva richiesta per la condizione di pericolo in cui si trovavano gli ebrei in Polonia, Romania e Ungheria, dove la propaganda antisemita stava assumendo proporzioni preoccupanti.
Infine da tutte le organizzazioni ebraiche giungeva l’invito pressante a condannare le persecuzioni antiebraiche e le restrizioni dei diritti degli ebrei, in primo luogo in Germania, ma anche negli altri paesi dove gli ebrei stavano subendo ingiustizie.

Nel corso della conferenza non si giunse, in realtà, a nessun accordo riguardo alle possibili aree di insediamento per i rifugiati, sia per i contrasti tra le varie nazioni rappresentate ad Evian, sia perché, in ogni caso, la decisione di indirizzare i profughi in un’area stabilita a tavolino difficilmente sarebbe stata accolta senza obiezioni da tutti i profughi, oltre che dalle popolazioni dei territori designati.

In un momento in cui migliaia di vite erano minacciate, i vari paesi si accordarono soltanto sul fatto che avrebbero mantenuto le quote d’immigrazione vigenti. Nessuno, in un così grave frangente, aumentò la propria quota. Solo la Repubblica Dominicana dichiarò di essere pronta ad accogliere un numero elevato di profughi, mentre la Bolivia, tra il 1938 e il 1941, accolse 20.000 Ebrei.

Come scrive Martin Gilbert nel suo libro The Holocaust: “La comunità internazionale, la quale a Evian avrebbe potuto tenere aperte le porte ai profughi, scelse proprio quell’occasione, tanto disperata per gli ebrei che vivevano già sotto il giogo nazista, per dar voce alle proprie esitazioni e alla propria titubanza.
Fu presa una posizione neutrale, che era destinata a costare molte vite”.

Ancora più gravi i comportamenti tenuti durante gli anni della guerra.

I paesi neutrali (Svizzera, Spagna, Turchia) perseguirono una politica restrittiva nei confronti dei rifugiati. A coloro che, nonostante tutti gli ostacoli riuscirono a entrare in questi paesi, fu concesso solo un rifugio temporaneo e non sempre sicuro.

Le stesse potenze alleate, soprattutto Gran Bretagna e Stati Uniti, nel corso della guerra non riuscirono a sviluppare e implementare una chiara politica per l’accoglienza e la salvezza dei rifugiati ebrei.

Gli Stati Uniti mantennero una rigida politica delle quote. Durante la seconda metà del 1941, mentre i rapporti non confermati degli eccidi di massa perpetrati dai Nazisti filtravano in Occidente, il Dipartimento di Stato americano impose limiti ancora piu stretti all’immigrazione. Per il governo di Londra, la Palestina era la chiave della loro politica in Medio Oriente Di conseguenza veniva limitata qualsiasi fuga di massa degli ebrei verso quella terra .

Solo una grande pressione applicata da organizzazioni ebraiche internazionali e le prove della “soluzione finale della questione ebraica” costrinsero il governo britannico, in diverse occasioni, a concedere qualche limitato ingresso in Palestina.

Gli Stati latinoamericani svolsero un ruolo significativo, ma spesso molto contraddittorio nei confronti degli ebrei che cercavano rifugio, dalle regole che permettevano l’ingresso solo ad ebrei convertiti alla religione cattolica entro il 1935/36 al commercio di visti autentici o di documenti di viaggio contraffatti.

Alla Conferenza sui profughi, tenutasi a Bermuda nell’aprile del 1943, gli Alleati non portarono alcuna concreta proposta di soccorso. I delegati non parlarono del destino di coloro che erano rimasti nelle mani dei nazisti, ma piuttosto di coloro che erano riusciti a fuggire in paesi neutrali. In merito a questi ultimi, furono individuate alcune misure pratiche che avrebbero potuto aiutare a liberare gli ebrei come il permesso per la temporanea ammissione dei rifugiati, la flessibilità dei severi requisiti d’ingresso. Dovrà però passare ancora un anno prima che queste misure cominciassero a diventare operative.

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