di Alfredo Morganti – 6 agosto 2016
“La strategia delle riforme può dunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia delle alleanze. Anzi […] nel rapporto tra riforme e alleanze, queste sono la condizione decisiva [Senza di esse] prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno e tutta la situazione politica va indietro fino a rovesciarsi”. Così Enrico Berlinguer nelle sue ‘riflessioni dopo i fatti del Cile’. Riforme e alleanze, dunque, ossia ampliamento della base di consenso e ricerca di unità quali condizioni per la realizzazione di riforme vere, progressive, pronte a mutare in positivo gli assetti di potere e a dare forza politica e sociale agli ultimi, i più disagiati.
In Italia, invece, oggi si fanno le riforme a colpi di maggioranza, a botte di fiducia, spaccando persino il partito che ne è promotore, e scegliendo una strategia di contrapposizione a una di unità e di dialogo. Lo stesso contenuto delle riforme tende a restringere le basi della rappresentanza, invece di ampliarle. Penso all’Italicum. Come scrive Berlinguer, se si divide invece di unire, se si restringe la base della rappresentanza, se si va avanti a colpi di maglio, proponendo ogni volta una nuova sfida personale e dipingendo un nemico da battere, presto tutto si ribalterà. E le cosiddette ‘riforme’ si presenteranno per quel che sono davvero, ossia strumenti per rafforzare il potere di pochi contro quello di tanti, dispositivi per ridurre le tutele sociali invece di svilupparle, norme destinate solo a potenziare il consenso di chi le promuove.
(Quando si riduce Enrico Berlinguer a una icona o a una bandierina da sventolare a titolo puramente simbolico, lo si fa anche, e forse soprattutto, per nascondere il suo pensiero effettivo, che è altro dalle prodezze comunicative dell’attuale leadership del PD).