da Il Fatto Quotidiano, il blog di Furio Colombo 15 giugno 2014
Quindicimila giovani assunti dallo Stato”. Ragazzi, mi tocca il compito di comunicarvi, quasi da solo, che non è vero. Evidentemente quei quotidiani hanno pensato che bisognava pur dare un titolo sensato alla Riforma Renzi-Madia detta “della Pubblica amministrazione”, una riforma che non c’è. Vediamo. Per la giovane ministro del giovane governo presieduto dal giovane presidente Renzi, una riforma è una promessa molto ripetuta e gridata tenendo le dita incrociate tipo scout. Si comincia subito col dare numeri a caso, tanto non tutti e non subito possono verificare. Esempio: fino a quanti km si può spostare un padre o una madre di famiglia (che per sventura siano impiegati dello Stato in questa fase della storia) perché possano sopportare il trasferimento coatto (è questo che si promette, il trasferimento non voluto, come riforma)? Ripeto la domanda: fino a quanti chilometri? Cento va bene? Che ne dite? Sembra una riforma coraggiosa, perché è dura, cattiva, oltreché inutile.
Passa un giorno dall’annuncio che getta molti dipendenti pubblici nella costernazione, e poi si viene a sapere che 100 km sono troppi, li spendi in viaggio o devi farti, con lo stesso stipendio, una seconda casa. Facciamo 50? 50, quasi nessun ufficio, nel quale le persone interessate e angosciate lavorano per lo Stato, dista 50 km da un altro ufficio uguale o con funzioni simili, a meno che la buona e moderna riforma preveda il passaggio dall’archivio dei Beni culturali ai Vigili del fuoco, tanto per farti vedere chi comanda. Ecco un’altra caratteristica della Riforma della Pa che porterà le firme del giovane premier Renzi e della giovane ministro Madia: essere cattivi come i veri manager privati, e far pagare ai piccoli.
Fateci caso: qualunque cosa accada, trasferimento, spostamento, nuova mansione, buon compleanno, l’indicazione è “con stipendio anche minore” o addirittura “ridotto del 30%” oppure “con riposizionamento a rango inferiore”. Come dire: ti prometto un futuro di stipendi più bassi e di luoghi più scomodi e, se sei già specializzato in qualcosa, avrai subito una mansione diversa. Perché queste sono le vere riforme: spiacevoli. Strano che tutti coloro che, insieme al ministro, hanno messo mano alla Riforma della Pubblica amministrazione italiana non abbiano ricordato che chi occupa, bene o male, posti nello Stato, lo ha fatto e lo fa per concorso, e il bando di concorso, che ha un valore impegnativo per il datore di lavoro Stato, oltreché per il personale assunto, precisa ogni dettaglio su trattamento, funzioni, doveri e garanzie.
Ma allarghiamo un po’ lo sguardo su ciò che ci dicono della riforma anche dopo lo storico Consiglio dei ministri del dopo Vietnam, e che è quasi niente, solo un decreto legge. Il resto è (sarà) delega. Dunque saltano i 100 km. Ma si insiste che la grande novità è lo spostamento. Chiunque può essere messo in mobilità e te lo annunciano e ripetono in modo da farti sapere che non puoi star tranquillo. Chiunque voglia vendicarsi di te, nel tuo ufficio, d’ora in poi ha il suo strumento per farlo.
Ah, poi c’è l’idea, molto giovanile, da London School of Economics, di stabilire che lo stipendio dei dirigenti dipende dall’andamento del Pil. Serve a cancellare ogni traccia del premio per chi lavora e produce. Ma che legame ci può essere fra una persona e il Pil? Tanto vale, allora, decidere uno scatto tutte le volte che escono, su ruote prestabilite, da uno a cinque numeri indicati dal dipendente che aspira al premio. Poi c’è il ricambio generazionale. Puoi credergli se ti dicono che, abolendo l’abitudine di trattenere in servizio (di solito per due anni) dei pensionandi utili nel lavoro che fanno, si sbloccano di colpo 15 mila posti per i giovani? Si sbloccano come? Sono già lì sui gradini e poi entrano come a scuola, oppure bisognerà mettere su un concorsino che porta sempre via un paio d’anni? Non dimenticate la “semplificazione”. Hanno deciso che, di tre uffici di registro automobilistico ne faranno uno solo. È giusto, è poco, non conta niente, non incide su nulla. Risparmio del personale: da tre a cinque persone. Certo, in momenti di crisi tutto conta.
E qui viene la seconda parte del discorso. La Pubblica amministrazione è la macchina che fa funzionare lo Stato. Persino nell’America che viene continuamente descritta come liberista e fai da te, la macchina dello Stato è immensa e tende a essere rapida e perfetta. Ripeto un esempio che ho fatto altre volte, quando si parla di scardinare la burocrazia col bulldozer. A New York nessuna ristrutturazione può iniziare in case private (neppure una cucina o un bagno) senza verifica e permesso del comune, la presentazione, la firma il progetto, e assicurazioni anti infortunio individuali per ciascuno dei prestatori d’opera, anche se sono imbianchini di interni. Se i documenti mancano, stop immediato e multa, a cura di una burocrazia implacabile.
È la stessa, competente, efficiente, rapidissima, che ha reso rischiosissima l’evasione fiscale. Abbiamo, credo, chiarito una cosa su cui volentieri si fa confusione: la Pubblica amministrazione di cui è riformatrice la giovane ministro Madia, è la burocrazia, la stessa contro cui il suo giovane primo ministro Renzi voleva buttarsi con il bulldozer. È dunque una macchina grande e complessa che richiede conoscenza di ciò che è adesso, e progetto di ciò che dovrebbe essere dopo. Richiede anche una visione politica: Ronald Reagan sosteneva che bisognava chiudere tutta la baracca perché “è lo Stato il problema”. Roosevelt, Kennedy, Carter, Clinton e Obama dicono “È lo Stato che deve intervenire, a cominciare dalla scuola pubblica e dalla salute”. Prima di spostare i piccoli pezzi del loro gioco, Madia e Renzi devono prendere posizione su queste due visioni dello Stato, della vita, della politica. Devono scegliere e farlo sapere.