Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Riecco la guerra
La guerra ricompare in tv, così, all’improvviso. E ricompare come una sorta di bollettino della vittoria scritto anzitempo: le truppe ucraine, sostenute dal patto artlantico, con una potente controffensiva, avrebbero costretto alla ritirata le truppe russe. La guerra in campagna elettorale è una turbativa della fiducia degli elettori, crea insicurezza, ma se si tratta di una vittoria incipiente, o presunta tale, allora diventa importante riconsiderarne l’urgenza mediatica per ragioni che capirete senz’altro. Questo spinge chi ha fortissimamente ritenuto che si dovesse accettare la sfida bellica e combattere Putin sul campo fino alla vittoria, anche a costo di rischiare un rinculo nucleare e di trasformare le popolazioni del Donbass in profughi, in sofferenti, in morti ancor di più di quanto già non fosse – spinge, dicevo, chi ha puntato tutto sulla sconfitta di Putin sul campo, a esultare come farebbe una tifoseria particolarmente rumorosa.
Io penso che ci sia poco da esultare, perché una guerra è sempre una guerra – ed è sempre una sconfitta anche se si trattasse per qualcuno di una vittoria. Le tifoserie trasformano uno scambio di bombe in una partita di calcio, dove si vince e si perde, e si esulta di conseguenza. Anche perché, che si tratti di una vittoria, è tutto da verificare. Come nelle partite di calcio, i risultati ballano, le tattiche si sovrappongono, le strategie si confrontano, e contano molto i rapporti di forza. Le partite di calcio sono spesso ribaltamenti continui. Ma questa, appunto, non è una partita di calcio, i morti sono veri, il disagio di un popolo è reale, anche se lo “spettacolo” mediatico rende il conflitto reale una forma di agonismo sportivo che non si addice alla realtà vera dei fatti. Serietà vorrebbe che si tifasse per una tregua, per trattative diplomatiche, per una soluzione che salvi la tragedia di milioni di persone che sono a diretto contatto con i combattimenti e ne subiscono gli effetti.
Ma si sa, la vittoria è l’idolo di chi interpreta la vita come competizione, anche se gli effetti reali cadono sulla testa degli altri. E una trattativa è considerata dai maschi alfa una specie di resa. Vorrei dire: ma voi lo immaginate cosa ne sarà del Donbass anche dopo una vittoria ucraina? Pensate che sarà possibile rimettere il dentifricio dentro il tubetto, dopo che è stato versato in questo modo così brutale? Pensare la pace è anche pensare al futuro, pensare a quel che resta, a ciò che lasciano le bombe nel cuore e nella vita delle persone – non solo alla ipotetica vittoria militare, sia essa russa o ucraina. La vita non è affatto un videogioco come si pretende per semplicità.