Ridurre le disuguaglianze per avere più crescita

per Gabriella
Autore originale del testo: Marta Fana
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/riduci-le-disuguaglianze-e-avrai-piu-crescita-parola-di-ocse-e-fmi/

Sem­bra sem­pre più evi­dente lo scol­la­mento tra i risul­tati dell’analisi delle isti­tu­zioni inter­na­zio­nali e le poli­ti­che adot­tate e/o soste­nute dai loro espo­nenti rap­pre­sen­ta­tivi sul piano poli­tico. Nell’ultimo mese, sia l’Ocse sia il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale (Fmi) hanno pub­bli­cato due rap­porti sulle disu­gua­glianze eco­no­mi­che, le loro cause e gli effetti che deri­vano dal loro aumento in ter­mini anche di cre­scita economica.

Il rap­porto dell’Ocse ha evi­den­ziato che l’aumento delle disu­gua­glianze ini­zia ben prima della crisi eco­no­mica ed è for­te­mente legato alla libe­ra­liz­za­zione del mer­cato del lavoro, che di fatto ha impo­ve­rito i lavo­ra­tori, non sol­tanto quelli meno istruiti. Poi la crisi e l’austerità hanno rin­ca­rato la dose: all’aumento della disoc­cu­pa­zione, i governi hanno rispo­sto con il nefa­sto con­nu­bio tra riforme strut­tu­rali, tagli alla spesa sociale e aumento della tas­sa­zione a danno pro­prio dei lavo­ra­tori e, più in gene­rale, dei ceti più deboli della popo­la­zione. I ric­chi, intanto, aumen­ta­vano la pro­pria quota di red­dito e ric­chezza indi­stur­ba­ta­mente. Non sol­tanto mag­giori disu­gua­glianze, l’austerità riduce anche la crescita.

Ma attenti a per­se­ve­rare con il man­tra della cre­scita per­ché, ci ricorda l’Fmi, la cre­scita non è uguale per tutti e que­sto può avere un effetto sulla pro­spe­rità di medio e lungo periodo. In par­ti­co­lare, un aumento dell’1% del red­dito del quin­tile (20%) più ricco della popo­la­zione com­porta una ridu­zione della cre­scita di circa lo 0.8%. Al con­tra­rio, se aumen­tas­sero i red­diti del 20% più povero della popo­la­zione, allora si avrebbe un effetto posi­tivo sulla cre­scita com­ples­siva di circa lo 0.38% del Pil.

Un aumento più con­te­nuto, ma sem­pre posi­tivo, si avrebbe nel caso in cui aumen­tas­sero i red­diti di quella che viene iden­ti­fi­cata comu­ne­mente come la classe media, cioè coloro che si tro­vano al cen­tro della distri­bu­zione del red­dito. Gli studi dell’Fmi e dell’Ocse con­ver­gono: biso­gna aumen­tare la quota dei red­diti da lavoro della metà più povera della popo­la­zione, ma ren­dere il wel­fare più equo in ter­mini di soste­gno al red­dito, istru­zione, sanità, beni pubblici.

Crol­lano trent’anni di falsa coscienza, nono­stante il domi­nio dell’opinione pub­blica sia ancora in balìa dei por­ta­voce del pen­siero unico, come Alberto Ale­sina, che elo­giano le disu­gua­glianze e il merito, dimen­ti­cando che il merito, in una società dise­guale, non esi­ste se non come reto­rica per pre­ser­vare lo sta­tus quo. Il merito, e soprat­tutto i premi al merito in ter­mini di retri­bu­zione, sta­tus sociale e ric­chezza sono frutto della posi­zione eco­no­mica e sociale dei geni­tori, del con­te­sto in cui si vive.

E men­tre il main­stream con­ti­nua a rac­co­man­dare che le imprese siano ricom­pen­sate gene­ro­sa­mente quando inno­vano, basta ricor­dare che que­ste imprese hanno «fatto leva su un set­tore pub­blico stra­te­gico, dispo­sto a farsi carico dei rischi e delle incer­tezze mag­giori lavo­rando fianco a fianco con un set­tore pri­vato dispo­sto a rein­ve­stire i suoi pro­fitti nelle aree “a valle”», come ricorda Mariana Maz­zu­cato. La ric­chezza pro­dotta va redi­stri­buita tra tutti gli attori attra­verso più alti salari, ma anche tasse sui pro­fitti, che nulla hanno a che fare con l’esproprio della ric­chezza pri­vata, pro­prio per­ché quella ric­chezza, se esi­ste, è collettiva.

È evi­dente ormai che la lotta alle disu­gua­glianze non può essere dele­gata a chi la giu­sti­fica o ne genera, attra­verso la poli­tica, i mec­ca­ni­smi di fondo che la ali­men­tano. Una società più equa, più giu­sta deve rico­min­ciare a essere l’obiettivo poli­tico, anche in Ita­lia, di una nar­ra­zione dif­fe­rente e contro-egemonica.

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