Ricostruire il fondamento

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Raniero La Valle

di Raniero La Valle – 30 gennaio 2018

Mentre in Italia si sta per votare, il costituzionalista Mario Dogliani sul sito di “Sbilanciamoci” (che è quello di studi e ricerche per un’economia alternativa) accende una luce su ciò che più di tutto sarebbe necessario ma che nessuno immagina e propone: che l’intervento pubblico (non solo dello Stato, diciamo noi, ma di tutta la sfera pubblica – la res publica – nazionale e internazionale o europea) crei lavoro, quel lavoro che non c’è più.
Il lavoro non c’è non perché costa troppo di tasse, come crede il Jobs act, ma perché il capitalismo all’ora del suo trionfo globale ha preteso azzerarlo, sia sostituendolo con le macchine, sia andandoselo a prendere dove costa di meno ed è senza diritti. E ciò con l’intento non solo di ridurre al minimo tale costo di produzione, ma di sopprimere il suo stesso storico antagonista nel conflitto, fondativo della modernità, tra capitale e lavoro. Questa è la realtà evocata nell’articolo di Dogliani. Ma se non c’è il lavoro, o è ridotto allo stato gassoso, non solo non c’è vita (non si può comprare né vendere), ma non c’è più neanche il fondamento della Repubblica, e dunque salta tutto il sistema delle libertà e dei diritti; ragione per cui diventa necessario per la Repubblica prima di tutto ricreare essa stessa il suo fondamento. E dunque il lavoro non più come affare privato, qual è nell’attuale vulgata neoliberista, ma come interesse e finalità pubblica.
Di ciò non compare il minimo accenno nella campagna elettorale, come del resto nessuno parla della pace, delle guerre e delle armi, e di che cosa l’Italia ci sta a fare al mondo.
Invece si parla di cose che non stanno né in cielo né in terra, e se in terra, illegittime e incostituzionali. Così gli uni parlano di una flat tax (un’aliquota uguale per tutti) che è esclusa in partenza perché in Costituzione (e nel buonsenso) c’è la progressività delle imposte; l’altro vuole il servizio civile obbligatorio, quando a meno che non sia una variante dell’obbligo militare (com’era in Italia ai tempi dell’obiezione di coscienza alla coscrizione obbligatoria) esso è equiparato al lavoro forzato e coatto, e come tale condannato in tutte le Convenzioni internazionali sulle libertà e i diritti; si introduce poi senza pudore il vincolo di mandato, escluso dalla Costituzione, sia mediante appositi contratti, con tanto di penale per voti in Parlamento difformi da quelli richiesti, sia mediante la “pulizia etnica” delle liste dei candidati (come l’ha chiamata il costituzionalista Massimo Villone) compilate in funzione dei futuri interessi politici del capo; e infine per chiudere le vie dei migranti, si armano confini lontani e si cede sovranità alla Libia, quando le rinunzie alla sovranità sono sì ammesse e anzi raccomandate dalla Costituzione, ma all’unico e infungibile scopo di assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”, non certo per alimentarne il genocidio.
Sicché sarà difficile questa volta scegliere nel voto, che il 4 marzo dovrà essere dato soprattutto per tenere aperti gli spazi della democrazia e della Costituzione finora grazie a Dio salvaguardata, in vista di futuri pensieri e coraggiose operazioni di novità politica, economica e sociale.

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