RICORDI DALLA PERIFERIA

per Filoteo Nicolini

RICORDI DALLA PERIFERIA

Gli illuminati riformatori del sistema scolastico italiano nel dopoguerra pensarono bene di riflettere fedelmente le differenze sociali e di ceto nelle possibilità di studio di chi emergeva dalle elementari. Ecco il ricordo della mia esperienza. Famiglia semplice e umile la nostra, ma con sforzi e sacrifici si andava avanti. Mio fratello maggiore aveva cominciato con l’avviamento al lavoro, ma era molto dotato e capace, si preparò e superò non so quale esame di ammissione per poter accedere all’Istituto commerciale. Di lì riuscì a studiare Economia e Commercio, laurearsi e spiccare il salto.

Nel 1961 ero giovane adolescente e cercavo di studiare mentre accudivo la bottega di idraulico ed elettricista di Mio Padre. L’anno prima avevo fatto la prima media, promosso con tranquillità. Ma poi, mi toccò il cambio di classe al turno di pomeriggio ai locali adiacenti, dove cominciavo ad avere problemi con il latino. Non avevo il vocabolario di latino, costoso, e quindi cercavo dietro alla grammatica qualche parola in un glossario ampiamente insufficiente. Presi un quattro in latino al primo trimestre, il cambiamento di aula non mi aveva giovato. Un giorno entra una cliente che veniva per una piccola riparazione. Mi vede curvo sulla grammatica, lei era professoressa di latino, si accorge della mia difficoltà e mi invita per il giorno dopo a casa sua, al palazzo al lato, per darmi una mano. Lei non insegnava ma solamente si dedicava alle lezioni private. Nel caso mio quelle lezioni furono gratuite.

Frequentai quella casa e seduto al tavolo con altri discepoli cominciai ad apprendere declinazioni e quante altre astruse cose. Capii che il latino aveva una solida logica da rispettare, nella traduzione e nella versione, con le sue regole. Era un esercizio di logica, tra le altre cose. Nel secondo trimestre, con la sorpresa dell’insegnante di classe, ebbi un sei pieno. Mi era stato regalato un vecchio ma utile vocabolario, misi a frutto le lezioni, che erano gratuite, e addirittura ebbi 8 al terzo trimestre. Promosso! Acquistai dunque fiducia nelle mie capacità, mentre la sorella mi dava classi di redazione in italiano. Appresi a scrivere nello stile che mi è familiare proprio lì, e devo dire con emozione che la mia forma di scrivere non è cambiata da allora, uso ancora quei suggerimenti nella costruzione della frase. Credo ora che fu il risveglio di capacità addormentate che attendevano l’opportunità. Se non fosse così, i ritmi e le sfide che sorsero avrebbero dato risultati mediocri. Non fu così. Metodo e logica si impressero di forma impercettibile e dettero buoni risultati col tempo quando passai ad altri studi e discipline scientifiche. Una sana insoddisfazione giovanile alimentata dalla novità all’orizzonte: un libro, una idea, una frase, una persona che avesse attratto la mia attenzione.

Finite le medie, la mia scelta cadde sull’Istituto industriale, che era decentrato e raggiungibile in autobus. Di Licei non se ne parlava neppure, l’Istituto professionale sarebbe stato l’avviamento al lavoro che volevo evitare. L’industriale rappresentava una carriera di cinque anni in salita, alludeva al lavoro qualificato, al diploma di perito. Insomma, era una possibile fuga dal lavoro paterno, di cui pur avevo appreso i rudimenti. Filai dritto, misi a profitto le lezioni, perché una materia a settembre per me sarebbe stata fatale, e poi mi piaceva studiare, fare nuove amicizie. Alcuni docenti li ricordo modesti e mediocri, altri lasciarono il segno. Naturalmente, c’erano tante materie tecniche da approfondire, ma su tutte si ergeva l’italiano, con le sue sfide, il tema scritto, la redazione, gli argomenti, e poi la storia della letteratura, e quella generale dei popoli. Qualche vago accenno alla storia del pensiero lo avemmo, ricordo una docente che era laureata in filosofia, ma fu solo un cenno fugace. Il pericolo per ciascuno di noi era divenire un servomeccanismo dotato di intelligenza tecnica, così ricordo l’ammonimento di un docente. Strumenti culturali, quelli ce li procuravamo da soli, e chi aveva una enciclopedia a casa era da ritenersi fortunato. Io ricorrevo ai pochi libri che i miei fratelli avevano comprato e leggevo di tutto un po’. Anche se collaboravo sporadicamente con mio Padre, mi rifugiavo nei compiti, lo studio era pungolo per dimostrare che potevo fare qualcosa d’altro, sfuggire ai vincoli. Studiavo con profitto e ricordo che le materie erano esigenti. Sorgevano le amicizie fatte a scuola, si studiava insieme, apparivano nuovi interessi culturali, si leggeva L’Espresso, si allargavano gli orizzonti. I temi di italiano erano stimolanti ed attuali, e ne conservai per molti anni le famose minute che venivano restituite alla correzione. Erano argomenti con l’attenzione posta alla guerra nel Vietnam, e poi al blackout di New York, alle politiche demografiche nella Cina di Mao, il terremoto in Irpinia, la tragedia del Vaiont. All’Arena Flegrea un gruppetto di studenti più motivati assistemmo all’Istruttoria di Peter Weiss rappresentata dal Teatro Piccolo di Milano. Cito questi ricordi come tappe miliari, in una formazione costellata di episodi individuali sullo sfondo di carenze.

Quei colleghi dell’Istituto, una volta diplomati, intrapresero in maggioranza la ricerca di un improbabile impiego e li persi di vista. Uno sparuto gruppetto si iscrisse all’Università, approfittando di una illuminata decisione del Legislatore che aveva liberalizzato proprio poco prima l’accesso alle carriere.  All’epoca della maturità avevo intanto conosciuto altri amici che studiavano nei Licei vicino casa, i quali ignoravano tranquillamente circuiti elettrici e leggi meccaniche, perché erano tutti presi da filosofie e letture di classici e moderni, e anche da approfondimenti linguistici. Erano altri mondi culturali, ma l’amicizia e la socializzazione, con le prime uscite in gruppo, il cinema, i famosi balletti, fecero ponti. E poi molto l’ho appreso dalla vita e dagli incontri, quelle diversità attraevano e stimolavano, a mio avviso la Scuola e l’Università non hanno mai rappresentato il monopolio del sapere. Mi allontanai dalla visione industriale di quella Italia degli anni 60, mi dedicai a studiare scienze, e quanto esse fossero più lontane dalle tecnologie, meglio. Col passar degli anni, cominciai a comprare libri, a leggere, a percorrere una strada che altri avevano già conosciuto prima e più a fondo di me. Gli incontri col destino mi spinsero a una rimonta fatta di scelte istintive e suggerimenti, però il cammino era in salita. Mi ero intanto accorto, sull’onda della contestazione studentesca, che eravamo lontani sia dalla giustizia sociale sia da quello che vorrei chiamare giustizia culturale, cioè riconoscere e rispettare il diritto di ciascuno di quanto gli è dovuto per lo sviluppo della sua individualità. La musica mi risultava colta e non andavo oltre l’ascolto emozionale, per apprezzare l’arte bisognava essere preparati, della letteratura avevo delle conoscenze singole, quali isole in un oceano Quelle differenze alla partenza hanno certamente pesato sulla mia vita e quella del gruppetto di colleghi che si era iscritto all’Università dopo l’Industriale, ognuno per così dire ha dovuto in base alle inclinazioni e alle possibilità allargare il suo orizzonte culturale, recuperare quel disagio inconscio. Il destino ha fatto la sua parte, gli incontri, i viaggi, nuovi idiomi e nuove sensibilità.

FILOTEO NICOLINI

Immagine: MICHELE PETRONE

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