Fonte: Minima Cardiniana
RICORDANDO UN’INFAUSTA RIBELLIONE
…PURTROPPO, SUA MAESTÀ BRITANNICA AVEVA TROPPI SCRUPOLI
I native Americans della parte settentrionale del continente americano furono purtroppo molto più sfortunati degli indios di quella centrale meridionale. Là, non ci furono le nuevas leyes promulgate in pieno Cinquecento da un sovrano cattolico e simpatizzante di Erasmo da Rotterdam che accettò i consigli del domenicano frate Bartolomé de las Casas mettendo come e finché gli fu possibile un limite agli abusi e alle violenze dei conquistatori europei sugli indigeni (ai quali si aggiunsero presto gli schiavi provenienti dall’Africa). E i discendenti dei conquistatori, insieme con quelli delle loro vittime, credettero bene nel corso dell’Ottocento di liberarsi dell’eredità giuridica di quel regno di Spagna che almeno per due secoli aveva cercato d’impedire gli abusi, lasciando infine solo la Compagnia di Gesù a combattere la Buona Battaglia. Né Voltaire né Italo Calvino hanno mai capito nulla – o mostrar d’aver capito – in quella storia. Ma Bergoglio la conosce molto bene.
D’altronde, e dal momento che la storia non solo si può, ma si deve scrivere anche al condizionale, con tutti i “se” e i “ma” del caso, va ricordato che i native Americans dell’area fra attuali Stati Uniti, Québec e Canada erano già stati fortemente penalizzati a causa della sconfitta della Francia nella guerra “dei Sette Anni”, nel 1763: i francesi, perdenti, erano stati infatti dei padroni degli sconfitti ben più umani e generosi dei vincitori inglesi. Ma i coloni di Sua Maestà Britannica che si sollevarono fino dal celebre Boston tea party del 1763 e che, attraverso la ribellione armata proposta nel 1774 durante il congresso di Filadelfia e sfociata il 4 luglio del 1776 con la Dichiarazione d’Indipendenza nel nome di life, liberty, and the pursuit of happiness, furono ben più avari della corona nel concedere ai “pellerossa” quel che con tanta decisione pretendevano per se stessi.
I coloni ribelli vinsero la guerra: disprezzavano i “selvaggi” e li trattavano con molta maggior durezza di quanto la corona non avrebbe voluto: ma da loro avevano imparato la guerra fatta di agguati e di colpi di mano, per quanto poi a differenza di loro non risparmiassero mai il nemico. Ebbero così ragione delle armate reali, che tendevano ancora a usare metodi di “guerra cavalleresca”.
La nuova società inaugurò una nuova economia: e si avviò la lunga storia del liberal-liberismo passata poi dai proprietari terrieri ai magnati dell’industria – ch’erano talvolta loro eredi – e che richiese prima il conseguimento dell’irreversibile controllo del subcontinente latino con la progressiva cacciata (dalla Dichiarazione Monroe del 1823 in poi), quindi del Pacifico con la prima guerra mondiale e poi dell’Atlantico a quella della seconda.
Oggi, l’American system dà cenni di necrosi, la politica va scomparendo, economia e finanza mondiali sono nelle mani di un pugno di lobbies prive di scrupoli ma anche di prospettive, the pursuit of happiness appare una tragica inutile utopia e il genere umano affonda nel malessere. Ma il primato militare-industriale statunitense, già denunziato dal presidente Eisenhower, sembra tenere ancora. Il punto è capire dove stiamo andando.
Ricordiamo quello sciagurato 4 luglio, inizio per più versi di tutti i mali che tormentano l’era contemporanea.