Retorica generazionale. Citofonare Renzi

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 9 settembre 2015

Leggo sulla pagina fb di un consulente della Presidenza del Consiglio: «Treno Milano-Como, in coda per il bagno. Esce un signore e mi dice: “Guardi che è tutto sporco e disordinato, ma non sono stato io eh”. “Non si preoccupi. La mia generazione ci è abituata”. E lui: “Si vabbè. Quando esce le consiglio di avvertire anche il prossimo che entra, altrimenti incolpa lei di tutto quel disordine”. “Non si preoccupi. La mia generazione e’ abituata anche a questo” ».

Ecco. Immagino il piglio orgoglioso con cui è stato scritto questo post. Ma prima ancora immagino la scena. Fuori dal bagno sporco c’è il 35enne che ha fatto ottimi studi, probabilmente un cosmopolita dotato di eccellente curriculum, oggi impegnato al vertice delle istituzioni pubbliche e schierato con forza per il ‘cambiamento’. Lì, in fila, non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello che quel bagno avrebbe potuto sporcarlo anche lui (o qualcuno della sua generazione). No, per lui è certo che gli ‘zozzoni’ sono quelli delle generazioni precedenti, come se lui fosse ancora un bambino, e non un 35enne navigato, esperto, vaccinato, ben collocato peraltro nel mondo di quelli che contano. Oggi l’adolescenza lunga spinge a strane considerazioni, quelle per cui essere adolescenti a 30-40 anni libera comunque da responsabilità. Come se a 35-40 anni si fosse DAVVERO adolescenti, e non invece adulti non ancora cresciuti al punto da comprendere il senso di responsabilità nei confronti del mondo: quello passato, quello presente, e non solo quello futuro, verso il quale si proiettano tutti coloro che si sentono liberi ‘costruttori’ dell’avvenire, e mai ‘manutentori’, più prosaicamente, del mondo in cui ci troviamo a vivere (bagni sporchi compresi).

Il suo interlocutore è qualcuno della generazione precedente, uno che uscendo dal bagno sporco non trova altro di meglio che scrollarsi di dosso le responsabilità. Invitando, peraltro, il più giovane a scrollarsi colpe a sua volta, a scaricare tutto su quelli che vengono dopo (o prima, cambia poco). L’anziano non sa che davanti a lui c’è un giovanotto orgogliosamente convinto di NON avere alcuna responsabilità sui fatti accaduti, convinto com’è che la pipì fuori dal vasino l’abbia fatta suo padre, suo zio (oggi 60-70enni), non lui che è ancora così giovane e innocente. Il più anziano insegna al più giovane l’irresponsabilità, lo scaricabarile. E quest’ultimo non ha bisogno di questo invito, sentendosi già del tutto irresponsabile rispetto alle macerie della storia. Due irresponsabilità diverse, ma pronte obiettivamente a solidarizzare tra loro, negando a se stesse ogni forma di onere a carico. Una reciproca complicità, insomma.

Debbo dire, a questo proposito, che se i due si ritengono liberi di responsabilità e se la colpa deve essere addossata sempre a terzi, d’altra parte NESSUNO DEI DUE accenna alla possibilità di porre rimedio al problema. Nel senso che nessuno dei due ritiene di avvertire il capotreno, affinché mobiliti la squadra pulizie o cos’altro. Nulla di nulla. Io non sono stato, dice uno. Tanto meno io, dice l’altro. Avverta gli altri in fila che non è stato lei, sennò la incolpano, dice il primo. So bene che è colpa tua, pensa invece il più giovane in attesa di fare il bisogno, e comunque è una vita che mi discolpo per danni fatti in realtà dai ‘vecchi’. Insomma, il cesso resta sporco, nessuno che ci metta una mano a pulirlo, e tutti si schermiscono sulle colpe degli assenti. Bel cavolo di capolavoro. Siamo tutti comodamente proiettati verso il futuro, e del presente, del passato e delle macerie storiche non importa più nulla a nessuno. Il futuro è qui, il passato chissà. Siamo solo giudici delle magagne altrui, mai imputati di qualcosa. Ma come diceva De Andrè, “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Ecco.

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