Rete a sinistra ci riprova, ci si può fidare?

per luciovalerio
Autore originale del testo: Di Lucio Valerio Padovani
Fonte: www.listadoria.it

Si, ma solo se le regole che garantiscono democrazia interna e partecipazione sono chiare, solide e certe

Di Lucio Valerio Padovani [INTERVENTO ASSEMBLEA RETE A SINISTRA, 10.10.2015]

Per quanto io abbia partecipato, sin dall’inizio, alle riunioni di rete sinistra, quando tutto è cominciato, con le elezioni mi sono sfilato e ho fatto un passo indietro. Oggi ci troviamo di nuovo qui per riprovarci, ma da dove siamo partiti, quali erano le intenzioni originarie che hanno dato vita al progetto della rete? Siamo partiti da un bisogno, quello che Cofferati ha chiamato  “bisogno di sinistra”, si sentiva la necessità di uno spazio comune, di un luogo di confronto che permettesse di  elaborare un pensiero condiviso: un “laboratorio” che rendesse possibile il mettere a “fattor comune” le forze, una “rete”, appunto, aperta, dialogante, inclusiva.

Le elezioni, come si diceva già allora, rischiavano di rappresentare un “inciampo”, un ostacolo,  nella naturale evoluzione del percorso e così è stato. In periodo elettorale bisogna essere operativi, non si può badare al dettaglio, né andare troppo per il sottile, bisogna prendere decisioni rapidamente. In quella situazione, la condivisione diventa presto inversamente proporzionale alle necessità operative che si rivelano a volte nemiche della democrazia interna. Infine, cosa che non ci ha affatto aiutato, siamo diventati in fretta un “caso nazionale”, ma la rete era “disallineata”, non organica ai movimenti in atto, che forse persino anticipava.

Risultato, chi partecipava alle riunioni è stato progressivamente espropriato della possibilità di incidere realmente sul percorso, le decisioni più importanti sono state, di fatto, imposte dalle segreterie dei partiti(-ni) e  si sono assunti orientamenti condizionati direttamente  da “Roma”. Sono convinto che, in quella fase, i processi decisionali, in particolare alcune scelte, fra cui la designazione del candidato presidente della coalizione, abbiano tradito un pericoloso “deficit di democrazia”, un ritorno secco alla vecchia politica.

Siamo qui per provare a ripartire. Credo però che per “ri-partire” sul serio, bisogna  ricostruire il “capitale di fiducia” dilapidato (almeno in parte) in quel periodo. Questa volta è assolutamente necessario dimostrare che si è in grado di non ripetere gli errori fatti sull’onda della fretta e dell’imperativo categorico di portare a casa il risultato. Come sappiamo fin troppo bene, ripetere gli errori, è una sorta di “diabolica coazione” che caratterizza i comportamenti della sinistra, per questo motivo bisogna mettere in campo gli antidoti necessari.

Qualche intervento ha fatto riferimento all’astensionismo, che ha toccato cifre da capogiro, sono convinto che la fiducia si ri-costruisce proprio a partire dalla cura della democrazia interna, dalla capacità di costruire modelli e regole che favoriscono un’effettiva partecipazione delle persone alle decisioni comuni ed alla capacità di allestire processi realmente trasparenti e inclusivi.

Si diceva, costituzione di un’associazione, di un “laboratorio a sinistra”, di una “rete di reti”, a cui possono partecipare una pluralità di soggetti individuali e collettivi, partiti, comitati, movimenti. Un progetto ambizioso, che, proprio per questo, va attentamente costruito. Insomma, se si riparte, bisogna prendere le mosse dalle intenzioni originarie e ciò implica un percorso complesso, il cui esito (come ci dimostra l’esperienza elettorale) non può essere dato per scontato. Il rischio di frammentazione, del prevalere degli interessi particolari sull’interesse generale, resta dietro l’angolo.

Una cosa però è certa, quando il processo decisionale è trasparente, il rischio di dividersi e frammentarsi alla prima occasione si riduce esponenzialmente, se il bisogno di stare insieme è forte, e consapevolmente interiorizzato, la necessità di trovare modalità di funzionamento che permettano e favoriscano la capacità fare sintesi tra le diverse posizioni diventa vitale per tutti.  Posso persino tollerare che il mio punto di vista sia messo in minoranza, ma devo essere certo che regole del confronto democratico sono state rispettate fino in fondo, che c’è stata e ci sarà in seguito, la possibilità di comunicare e chiarire, approfondire gli argomenti. Nulla esclude che alla prossima, la mia posizione diventi maggioritaria o che si trovi una sintesi convincente.

Dicevamo dei “fondamentali” del funzionamento dell’associazione, a partire dall’iscrizione, che stabilisce chi sta dentro e chi sta fuori dal perimetro, cosa che restituisce con chiarezza chi ha il  diritto ad esprimersi sulle decisioni e chi non ce l’ha. C’è chi ha parlato di “referendum” e di “questionari” tra gli iscritti, bene, esistono allo scopo piattaforme digitali, che permettono agilmente la consultazione della base sulle questioni dirimenti. Vanno usate in modo sistematico. Non possiamo lasciare ai cinque stelle l’esclusiva della democrazia diretta, dell’”uno vale uno” (che in fondo è una derivazione dell’”una testa un voto” caratteristica della forma cooperativa). Più possibilità ho di far valere il mio punto di vista, più mi fido e mi sento accolto, più partecipo.

Altro problema da porsi fin da subito è quello del “rapporto con gli eletti”, soprattutto se l’associazione manterrà il nome attuale di “rete a sinistra”,  le azioni concrete, gli orientamenti, le proposte del nostro consigliere, avranno effetti immediati sulla nostra immagine collettiva. La relazione va chiarita cercando di garantire un sano equilibrio tra autonomia necessaria e coordinamento.

La seconda cosa di cui volevo parlare è la questione delle amministrative, Savona l’anno prossimo, Genova nel 2017. C’è tempo, si diceva, possiamo arrivare alla scadenza forse un po’ più preparati. Non sarei così sicuro (viste le condizioni di estrema fragilità in cui versa al maggioranza) che l’esperienza  genovese  arrivi tranquillamente a fine corsa e non si concluda anticipatamente, ma questo è un altro discorso.

Detto questo, il problema vero che è maturato nel corso dell’esperienza amministrativa  è di prospettiva: quello dell’alleanza con il partito democratico. Partito democratico che, com’è stato detto da altri, ha subito, in questi ultimi tre anni, un radicale “cambiamento antropologico” (dall’Italia bene comune di Bersani, che guardava a sinistra, al partito della nazione di Renzi, che guarda a destra). A dispetto delle recenti dichiarazioni di fedeltà alla linea, sul territorio e tra gli eletti spesso prevalgono posizioni renzian-democristiane. Ne consegue la domanda legittima, che molti si fanno, se esistano tuttora le condizioni per un’alleanza “programmatica”, non solo di cartello.

Il progetto di  centrosinistra è ancora credibile? La mia lista ha chiesto con forza, ma senza risultati, una verifica del programma, pensando che solo un franco confronto sulle “linee programmatiche” del sindaco  (quali risultati sono stati raggiunti, quali no e perché), fatto prima in maggioranza e poi portato all’attenzione degli elettori, attraverso forme di discussione pubblica da inventare, potesse garantire un dignitoso percorso di “fine mandato” e, allo stesso tempo, gettare basi un po’ più solide per un progetto di prospettiva più convincente. Al momento le distanze su temi “non negoziabili”, su cui il confronto è stato fin qui ampiamente insufficiente, restano molto forti e non fanno ben sperare per il futuro.

Sono convinto che ci sia necessità di fare il punto, visto che le questioni sul tappeto tuttora rendono incerta e a volte incoerente l’azione di governo. Restano infatti alcuni “nodi” irrisolti la cui soluzione non è affatto banale che meriterebbero di essere dibattuti e approfonditi, mi limito ad elencarne alcuni, qui non c’è tempo per entrare nel merito: lavoro, partecipate, privatizzazioni, mobilità, ambiente, beni comuni, partecipazione, ecc. Già ai tempi delle assemblee agli zingari c’eravamo detti che un confronto con l’esperienza di governo della città, con i suoi risultati, le sue difficoltà ed i suoi limiti non poteva essere rinviata e doveva diventare oggetto di un approfondimento da parte della rete. Confermo, da parte nostra, questa esigenza, lo strumento potrebbero essere i “tavoli tematici” che ci hanno portato a costruire il programma per le elezioni.

In ogni caso, quello che mi sembra evidente, anche dai discorsi sentiti fin qui,  è che una delle questioni dirimenti con cui fare i conti, al più presto, a proposito di “sinistra di governo”, è quella di un’analisi seria delle esperienze in corso dei sindaci eletti durante la “primavera arancione”. Non dimentichiamo che in queste amministrazioni la sinistra è stata protagonista di quella stagione, nel bene e nel male, sia, prima, al momento delle primarie e delle elezioni, sia, dopo, come “forza al governo” (e contemporaneamente  anche di lotta in alcuni casi).

Non credo, infatti, che in questa sala il problema vero siano  i “valori” condivisi, su cui sono convinto potremo trovare in fretta un buon accordo, quello che ci divide, spesso fieramente, sono invece le soluzioni “concrete”, quelle da adottare quando c’è da coniugare idealismo e realismo, “dover essere” e “responsabilità di governo”, quando è necessario dare risposte ai problemi nel contesto dato e con le risorse effettivamente disponibili. Su questo piano dobbiamo misurarci, laicamente, al più presto, perché il tempo che abbiamo davanti non è tanto. Un anno (ammesso che ci sia concesso sul serio) passa in fretta.

Quale futuro ci si prospetta? Tutti richiamano la necessità dell’unità a sinistra, sarà il “partito unico” o la “coalizione sociale”? Non so, di una cosa, tuttavia, sono convinto non è a Roma che si devono costruire le fondamenta del progetto per  una nuova sinistra del terzo millennio. La sinistra si ri-costruisce a partire dai territori, a partire da un “laboratorio inclusivo” che coinvolga attivamente e renda effettivamente partecipi le persone.

Ci si può “fidare” ancora, di fronte all’ennesimo avvio di un percorso costituente (o ri-costituente come in questo caso) dopo decine di fallimenti? Si, ma solo a condizione che le regole di “ingaggio” siano chiare, che democrazia interna e partecipazione siano difese con i denti. Solo così si può sperare di riconquistare la fiducia delle persone e degli elettori e porre  le basi per superare la frammentazione che rischia di metterci definitivamente in un angolo.

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