Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 17 febbraio 2015
La politica internazionale
Non è un caso che le vecchie relazioni al Comitato Centrale si aprivano sempre con la politica estera, poi quella interna, poi i problemi del partito. L’ordine era rigoroso, era una specie di architrave del discorso pubblico quando c’erano i partiti. Oggi quell’ordine è stato visibilmente rovesciato: prima il partito (ossia le primarie aperte, la scalabilità, gli accordi tra i clan, le direzioni in streaming, in breve l’assenza di partito), poi la politica interna (tutta giocata sulla rottamazione, le turbo riforme, i tweet mattutini, i serial americani, la verticalizzazione delle strutture interne, la personalizzazione e il leaderismo), infine, ma solo infine, quasi dimenticata, la politica estera (ovviamente sempre guardata con occhi strabici, di cui uno, almeno, rivolto agli equilibri interni). Non è un caso che vi sia stato questo rovesciamento, perché trenta, quaranta anni fa la politica era ancora un tema centrale, e dettava le sue regole. E la politica internazionale era, inevitabilmente, “la” politica, perché ne riassumeva l’essenza in alcuni suoi elementi: spazi territoriali, relazioni di potere, confronto protocollare tra gli Stati, diplomazia, rappresentazione quasi plastica di quel misto di persuasione e uso della forza che è la cifra tipica di ogni discorso pubblico impiantato su un potere territoriale autonomo.
Oggi la situazione è radicalmente mutata. La politica (quel che ne resta, quella che ‘sciacqua’ persino in un tweet) ha assunto per sé altri parametri. Intanto, ha ceduto potere alla finanza, alla tecnica, alla comunicazione, ne ha assunto linguaggi e stilemi, al punto da sostituire al principio dello ‘spazio’ (tema tutto politico) quello del ‘tempo’ (tema tutto comunicativo e mediale). Il discorso politico viaggia in rete e sui media ben più che all’interno delle istituzioni (il Parlamento vuoto per le riforme è quasi un’emblema). La competenza della nuova classe dirigente, cresciuta su facebook, è quasi tutta comunicativa, perché affida al ‘messaggio’ ogni sorta di efficacia performativa. Poca economia, poca lettura ‘profonda’ dei fenomeni, poco spessore intellettuale. Ne discende una grande abilità a restare a galla quotidianamente sulle superficie mediale, ma poco adattabilità alll’immersione, allo scavo delle questioni, al lavoro di dettaglio, “oscuro”, più intellettuale che meramente linguistico. In sintesi, ci ritroviamo giovani rampanti abilissimi a smanettare sulle tastiere, ma meno a dirimere problemi di grande spessore. Verso questi problemi, in forme esorcistiche, si richiama allora la rottamazione o il mantra delle ‘riforme’ (come a dire: fare tabula rasa, ripartire da zero, così non ho il problema di studiare storia).
Quando poi viene sollevato il grande tema internazionale (nella fattispecie l’esplosione dell’Isis e il caos libico) questi brillanti comunicatori sbandano. Debbono spegnere il turbo e al massimo tradurre la politica estera in politica interna, strizzando l’occhio ai sentimenti degli elettori piuttosto che inquadrare seriamente ed efficacemente il problema. È l’isteria di cui ha parlato Renzi, che lui stesso ha colto nell’opinione pubblica e tra i suoi. Primi tra tutti quelli che invocano guerre lampo in Libia, con tanto di truppe di terra all’assalto in mezzo a un deserto grande sei volte l’Italia! Non sorprenda che il premier vada coi piedi di piombo e freni: ha avuto la inaspettata lucidità di capire che un’eventuale crisi bellica non somiglia nemmeno un po’ alla primarie a Firenze, non è chiacchiera mediale, e non si potrebbe affrontare coadiuvati da Proforma e dalle slides, ma con le armi della diplomazia, col sostegno di una strategia politico-militare, con gli strumenti della politica, con l’acume di chi sappia interpretare i segnali geopolitici che partono dall’area.
Volenti o nolenti, a livello internazionale serve la politica, servono le sue leggi e la dovuta ponderatezza nelle scelte. Il tempo dei media, in questa evenienza, ridiventa spazio territoriale. Poi, certo, la propaganda bellica c’è sempre stata e così la retorica patriottarda. Ma cade necessariamente l’altra retorica, quella delle turbo-riforme, della rottamazione, del futuro che deve cambiare, dei gggiovani, della gggente, dell’Italia futura o unica. Cade tutto ciò. E il Re è subito nudo dinanzi a vicende estere che appaiono ovviamente più grandi di lui e delle sue ‘visioni’. Il terrorismo, la guerra, l’immigrazione, gli squilibri mondiali, la sicurezza pubblica non sono affatto scherzetti di carnevale. E se ti affidi alla propaganda hai già perso.