di Alfredo Morganti – 26 agosto 2015
Abituato a sentire la locuzione ‘centopiazze’, l’espressione ‘centoteatri’ mi ha lasciato perplesso, a partire dal piano comunicativo. “Centoteatri”, ho pensato, è una vera schifezza: ma chi glieli scrive i testi al premier? Poi Fabio Martini sulla Stampa mi ha aperto gli occhi. Lo scrive en passant ma è un’osservazione giusta, sacrosanta: “le piazze sono luoghi da prendere con le molle”. Lo abbiamo visto anche ieri, quando Renzi è stato costretto a ‘saltare’ una tappa aquilana perché dei cittadini meno solerti del popolo ciellino intendevano manifestare, diciamo così, il proprio disappunto al capo del Governo. Meglio i teatri, dunque, anche perché al loro interno è possibile sviscerare con maggiore libertà la teatralità tipica della politica, che Renzi interpreta molto bene peraltro, da vero attore capocomico. Teatralità, dunque. Maschere. Retorica a profusione. Frasi costruite a tavolino ma proferite fintamente ‘a braccio’. Tutto studiato e messo in copione, appunto. Una recita che ogni giorno invade le tv, i media e da oggi anche i teatri, in vista delle pressoché certe elezioni anticipate il prossimo anno.
Le piazze no, che siamo pazzi? In teatro si può circoscrivere la scena, dotarsi di un fondale di cartapesta, di giornalisti embedded, e godere di un pubblico addomesticato, selezionato, fedele, plaudente. Di fuori, invece, è pieno di Italia reale, quella che si astiene o vota contro, di contraddizioni, di problemi, drammi, disappunto diffuso. Fuori si fanno i conti davvero con le persone in carne e ossa, con le cifre reali; e non siamo sui tabulati del Ministero del Lavoro dove i numeri ballano e non si capisce niente nemmeno a essere esperti di statistica, di kabbalah o di numeri a lotto. Persone vere, ruvide, non la classica signora che il premier incontra al bar di Pontassieve e che gli dice ‘siete bravi, ma dovete comunicare di più”. Mi vengono in mente le lettere di Veltroni, scritte da persone reali che diventano lacrimevoli comparse della narrazione di governo in qualche comizio. Capirai, a Renzi non gli pare vero di ‘comunicare di più’ (Renzi 1), semmai il problema sarebbe quello di governare di più, anzi semplicemente governare (Renzi 2)! E non a caso oggi si riparla di un ritorno del primo Renzi, quello sbruffone che rottamava i comunisti ma ‘salvava’ il berlusconismo dalla sua incipiente rovina. Quello che sa fare campagne di comunicazione ma è del tutto ‘avulso’, direbbe Carlo Verdone, alla politica di governo. Anzi, non gli si addice proprio.
[E in fondo, più che a ‘centoteatri’, lo stile di governo di Renzi mi fa pensare a ‘centovetrine’, a una specie di shopping di persone, idee, cose come si è visto proprio ieri al Meeting nell’intento urgente di fare ‘massa critica’ contro i gufi, gli avvoltoi e, da oggi, anche i ‘telegatti’ che minacciano il nostro volenteroso giovane leader.]