Fonte: Politica prima.it
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di Maurizio Alesi -11 luglio 2015
Finché avremo questo Governo e questo presidente del Consiglio non mancheranno certo gli argomenti a chi (sempre in numero crescente) trova il piacere di scrivere su questo blog. L’imperdibile occasione è data dalle intercettazioni pubblicate dal “Fatto Quotidiano” sulle manovre per disarcionare l’ex presidente del Consiglio Letta, da parte di Renzi. Mi sono imposto di evitare toni offensivi o canzonatori nei confronti del protagonista principale, per dare il giusto risalto ai fatti e alla gravità di quanto è accaduto nei mesi scorsi.
Ecco dunque i fatti emersi dalle intercettazioni. Un generale ai vertici nazionali della Guardia di Finanzia, Michele Adinolfi, conversa amichevolmente al telefono con l’allora sindaco di Firenze usando toni da bar (si rivolge a lui con un affettuoso “stronzo”), discute di nomine, promozioni, intrallazzi e ricatti che coinvolgono nientemeno l’ex presidente della Repubblica Napolitano (Renzi lo chiamava “numero uno”) e il suo unico figlio Giulio ritenuto l’uomo che “decide tutto su Roma”.
Adinolfi dice a Renzi che Napolitano padre, si è battuto per la nomina di Saverio Capolupo a comandante generale della Finanza al posto di Adinolfi non perché fosse il migliore ma perché era ricattabile. Al telefono il futuro presidente del Consiglio confida al generale Adinolfi, nonché suo amico e suo corregionale, contravvenendo alle minime regole di riservatezza, persino le valutazioni di Napolitano sulla data delle sue dimissioni anticipate. ”Mi ha confidato che nel 2015 vuole andar via” e, da vero statista, prospetta a Letta il proposito di scambiare la presidenza della Repubblica con la sua poltrona di presidente del Consiglio. Letta, ovviamente non si fida (ben conoscendolo) e rifiuta lo scambio.
Da quel momento, come documentano le intercettazioni, Renzi comincia l’assalto al governo di Enrico Letta, ritenuto da se medesimo, senza mezzi termini “un incapace”. “Non è cattivo dice, è proprio che è incapace” (come considerazione verso il capo del Governo e compagno di partito di cui è segretario nazionale non è male). I termini della telefonata sono deprimenti e consegnano agli italiani una verità, fino a ieri conosciuta ma opinabile, e da oggi certificata e consacrata alla storia come la scalata al potere più inquietante e arrogante del nostro Paese. Sentite come si esprime al telefono col generale Adinolfi l’ex rottamatore che gli pone un interrogativo: “meglio per intanto mettere qualcuno dei nostri a sminestrare un po’di roba” nel governo Letta perché lui (Letta) “è proprio incapace” o prendersi subito Palazzo Chigi?
Vorrei soffermarmi su questa espressione per domandarmi/vi se l’antipolitica, tanto sbandierata da tutti i media conniventi, è quella del Movimento 5 Stelle o quella, invece, rappresentata da queste logiche di potere. Ma gli sproloqui su come e quando attivare il ribaltone, proseguono anche alla Taverna Flavia di Roma dove in compagnia di Dario Nardella (suo ex vice e imposto come successore a sindaco di Firenze). Una settimana prima del ribaltone Letta-Renzi, vanno insieme a cena con Adinolfi e Vincenzo Fortunato, ex capogabinetto di Tremonti. Tra una lasagna e un bicchiere di Barolo, il generale della Finanza ribadisce lo strapotere del figlio di Napolitano: “Giulio oggi a Roma è tutto”. Nardella addirittura lo corregge: “è fortissimo”, per la sua influenza sul padre e allude a “consulenze dalla Pubblica amministrazione”.
Tutto questo è ciò che pensava e faceva Renzi in privato mentre pubblicamente, invitava Letta ad andare avanti. Tutti ricordiamo l’ormai storico “#enricostaisereno”. Credo che questo meraviglioso quadretto ponga seri dubbi sulla moralità e sulla lealtà, condita da un ambizione sfrenata, da parte di chi ha la responsabilità del governo italiano. Mentre, come dimostrano le conversazioni, tramava senza sosta per disarcionare Enrico Letta e prendere il suo posto, in pubblico diceva: “non andrò mai al Governo senza un mandato popolare”. E abbiamo visto come è andata a finire.
“Berlusconi è con me” diceva al suo amico generale l’uomo che avrebbe cambiato l’Italia con una riforma al mese. È lecito, di fronte a tanto squallore chiedersi se gli italiani, subissati da una crisi inarrestabile e con problemi di sopravvivenza, meritano questi governanti.
La cosa più grave è sapere che oggi ai vertici più alti della Guardia di Finanza ci stanno due personaggi, oggettivamente incompatibili col loro ruolo. Infatti il primo, Adinolfi, accusa il collega di aver ottenuto l’incarico grazie ad un ricatto che ha le caratteristiche di una estorsione e il secondo avrebbe beneficiato di un incarico ottenuto immoralmente. E poi, per dirla tutta fino in fondo, non mi piace un Paese in cui la Guardia di Finanza che dovrebbe essere il principale controllore di chi amministra la cosa pubblica, abbia rapporti e toni così confidenziali con i possibili controllati e vadano insieme a sparlare e a tramare sulle istituzioni dentro ad una taverna.
Enrico Letta venuto a conoscenza dei fatti ha commentato: “Renzi? Che squallore, si commenta da solo”. Ma per sapere cosa pensa veramente basta leggere il suo libro “Andare insieme, andare lontano”. E il fastidio, la repulsione, la rabbia che si scorge nella foto della consegna della campanella a Renzi rivelava già tutto. Alzi la mano chi può dargli torto.
Vorrei concludere questa riflessione, con un’altra piaga che affligge il nostro Paese. Il dovere di informazione. Ho sempre ritenuto la stampa uno dei poteri più forti della nostra Repubblica, la cui azione condizionante per i cittadini è fortissima. Proprio per questo deve destare preoccupazione la circostanza che un solo quotidiano ha avuto il coraggio di pubblicare le intercettazioni così importanti dal punto di vista giornalistico ma anche, e soprattutto, per l’opinione pubblica che deve sempre essere informata sulla moralità dei suoi rappresentanti, soprattutto quando si tratta del capo del Governo.
Molti altri hanno preferito girare la testa dall’altra parte censurando il materiale o decidendo di dare poco risalto. Va detto che l’acquisizione e la pubblicazione di quelle intercettazioni non hanno nulla di illecito e sono state depositate per un’inchiesta conclusa, e dunque non più segrete. Eppure i soliti lecchini alla corte dei potenti, puntano il dito contro i colleghi del quotidiano di Travaglio, reo di avere sparso il “solito fango”. Ignorando che avere dato conto agli italiani di ciò che accade nel nostro Paese si chiama semplicemente informazione, garantita dall’art. 21 della nostra Costituzione.